personaggi


Renato Zero nel 1968A volte, quando uno ti dice che secondo molta gente lui assomiglia a Renato Zero, e poi aggiunge anche di non condividere questa opinione (“Secondo me non ci assomiglio proprio a Renato Zero“, dice), e tu gli dai ragione, e gli dici che effettivamente è molto difficile trovargli una qualche somiglianza con Renato Zero, ecco che spesso dopo due minuti è proprio lui quello che cerca di convincerti che dopo tutto, almeno un po’, lui davvero assomiglia a Renato Zero, anzi sono quasi identici, e se alla fine non gli dai ragione ci rimane un po’ male.

Poi tanto si scopre comunque che quello lì che voleva somigliare a Renato Zero tutti lo chiamano Tokio di soprannome, e la cosa finisce un po’ lì.

d'annunzioOvviamente, da che mondo è mondo e da che pane è pane, la gente comune ha avuto l’usanza di piazzare del cibo (carne, formaggi, verdure, insaccati, spezie) tra due fette di pane e di mangiarselo cosí, con le mani. La gente comune, appunto. La nobiltà invece, costretta da mille regole d’etichetta, si doveva sedere a tavola per ore, a mangiare, conversare ed improvvisare la guerra o la pace. Quando nel XVIII secolo tal John Montagu, IV conte di Sandwich, ritenne troppo oneroso per la sua persona alzarsi dal tavolo da gioco per approdare a quello imbandito, e si fece preparare un pezzo di carne tra due fette di pane, tutti dissero “Oh!“, lo trovarono una cosa molto particolare e un qualche geniaccio dell’adulazione propose di chiamare l’artefatto “sandwich“, in onore al suo “inventore”. Ovviamente la gente comune aveva dato da tempo un nome a quella strana cosa lì, sicuramente non lo chiamavano “pezzo di cibo tra due fette di pane”; chissà, forse lo chiamavano “piastrone“, o “bitullo“, o “scaccino“, impossibile saperlo. Fatto sta che il nome sandwich si impose, soppiantando ogni precedente dizione e promuovendo un nobile più ludopata che crapulone a fondatore di una nuova linea gastronomica.

Poi, dopo, nel 1925, il grandissimo poeta nazionale Gabriele D’Annunzio inventò la parola “tramezzino“, per sostituire il termine straniero e non gradito al regime (leggermente diverso, secondo Wikipedia, il succedersi dei fatti, ma la sostanza rimane quella).

Questo pomeriggio, al bar: la cameriera, rumena (pensavo fosse russa), giovane e bellina. Gli astanti: un relitto ceco, uno francese, uno spagnolo e, a parte me, un altro italiano, seppure di merda. E un cliente che sembrava normale, ma poi salta fuori che non ha i soldi per pagare la birra, e mi tocca di offrirgliela.

La soluzione, prossimamente…

Thanks (oh! so many thanks!) to Franz Penausea for the first part of this puzzle, and thanks to the Ficient for the whole idea.

Alcuni importanti studi sull’impollinazione sono stati compiuti da Sir John Lubbock, scienziato pupillo di Charles Darwin: per esempio, scoprì tramite lo studio dei fiori di due varietà di Lobelia dalla colorazione rispettivamente rossa e blu, che le api avevano una netta predilezione per i fiori dal colore blu [*]. Riflettici.

[fonte: Wikipedia]

_____________________________________________

[*] John Williams Lubbock, Observations on Ants, Bees, and Wasps. IX. Color of Flowers as an Attraction to Bees: Experiments and Considerations thereon, J. Linn. Soc. Lond. (Zool.) 16, pp. 110–112, (1881).

Sì, Giorgio, come no…

Un amico, giocoliere ed incantatore di flauti, si interessa saltuariamente di notizie di cronaca, oltre che di misteri circondanti le antiche civiltà. Ultimamente i fatti che hanno catturato la sua attenzione sono due: la rissa tra vigili urbani e finti gladiatori al Colosseo, e le gesta di quell’Anders Behring Breivik che per certe ragioni sue l’estate scorsa ammazzò un’ottantina di persone tra Oslo e dintorni (isola di Utoya). Di quest’ultimo argomento l’amico sa tutto, e gli piace rievocare accuratamente le fasi salienti della carneficina. Sa mimare il gesto con il quale quello imbracciava il fucile, puntava, ed abbatteva, uno dopo l’altro, dei giovani norvegesi in rapida fuga. Tra incontenibili risate l’amico racconta lo sbarco sull’isola, le prime vittime incredule, le decine di corpi insanguinati sulla spiaggia, il terrore dei giovani braccati. Devo dire che l’amico sa ricreare l’atmosfera, pur con questo tono leggero e certi risolini che in linea di principio si vorrebbero banditi da discorsi del genere; ma il racconto è appassionante e non stanca mai.

Ed ora che quest’uomo particolare è sotto processo nel suo paese, è inevitabile chiedersi se la bilancia della Giustizia, quella che vede su un piatto il dolore di tante persone, non debba avere sull’altro la bonaria allegria che gli stessi avvenimenti suscitano nell’amico, durante lunghi e paciosi pomeriggi pieni di spritz e di chiacchere a vuoto. Possono le lacrime degli uni essere almeno parzialmente asciugate dalla verve umorisitca dell’amico cabarettista, dal senso di placida armonia che egli sa infondere tra i compagni d’aperitivo? Speriamo di sì.

Scrivere un articolo in memoria di Beppe Viola, senza mettere nel titolo le parole “Quelli che…“. E magari senza citare l’ormai logoro coccodrillo che gli dedicò l’altrettanto rimpianto Gianni Brera. Mancano soltanto 17 giorni al diciannovesimo anniversario della prematura ed inconsolabile scomparsa e bla bla bla… Possiamo ancora farcela.

Estate duemilaeundici, i manifesti annunciano, tra Málaga e Granada, concerti di ZZ Top, di Alan Parsons Project, e anche di Tom Jones. Il mio pensiero corre dietro ad Amy Winehouse, questa benedetta ragazza finalmente uscita del tunnel della droga, e stavolta per sempre. Mi sforzo per cinque minuti buoni, ma non riesco a pensare niente di speciale. Gli Alan Parsons Project li davo per sciolti da qualche decennio, e invece suoneranno a Motril tra una settimana. D’altronde non mi sono lasciato scappare gli Scoprions, un paio d’anni fa; niente di speciale neanche loro. Giusto per dire: li ho visti.

Canzoni consigliate: L’ufficio in riva al mare, di Bruno Lauzi. Ma anche i primi due album solisti di Syd Barrett, lui sì uno speciale. O riascoltare, per bene, gli Area, cercando magari di capire.

Caro Vasco, ti abbiam sempre apprezzato e anche voluto bene, ti abbiam persino idolatrato a suo tempo, quando era giusto farlo; ma adesso per favore, smetti di fare altri dischi. Questo pensiero, a dire il vero, lo avevamo formulato già un 25 anni fa, quando pubblicasti Cosa succede in città. Ci scordammo di comunicartelo, e tu sfornasti qualche altra bella canzone, come il Tango della gelosia, e poche altre. Lo stesso pensiero, ora che ricordo, lo avemmo anche alla metà degli anni ’90, ma di nuovo perdemmo l’occasione per fartelo sapere, e poi ci regalasti perle come Sally, o L’una per te, fianco a fianco con autentiche porcherie che non voglio nemmeno ricordare (gli amici, lo sai, se son amici han da essere onesti e diretti). Son passati altri tre lustri; l’ultima canzone decente (decente non so, so che a me piace) che hai scagacchiato è Siamo soli: del 2001. A questo punto, se non ci arrivi da solo, è proprio il caso di dirtelo: caro Vasco, ti abbiam voluto bene, e molto, ma per favore, basta, smetti di fare altri dischi.

Caro Vasco, ci son là fuori un sacco di personaggi che non t’hanno amato mai, che ti considerano poco più (o poco meno) che un buffone, che mai t’hanno capito, che han fatto del tuo personaggio  così contradittorio e ruvido un fantoccio su cui sputare il loro stupido livore; gente che non t’ha capito mai e che pensa di aver capito tutto; gente che ti considera una specie di Ligabue sott’alcol, o peggio. Insomma: gente che non ti apprezza e dice cose brutte su di te. Caro Vasco, non regalare a questi poveretti altri argomenti a sostegno delle loro sciocche tesi: caro Vasco, per favore, smetti una buona volta di fare dischi. Dai.

diamantiSudafrica! Oggi tutti hanno in bocca questa parola, ma cosa sappiamo realmente di cos’è il Sudafrica?

Secondo la moderna paleoantropologia, il Sudafrica fu probabilmente la “culla dell’umanità”; qui (soprattutto nella zona del Transvaal) si sono infatti trovati fossili di australopiteci, Homo habilis, Homo erectus e altra robaccia assortita. Molti secoli più tardi fu colonizzato da degli olandesi speciali chiamati “boeri”, gente alla buona e di poche chiacchere, dedita a coltivare la terra, le cui donne preparavano delle gustosissime caramelle di cioccolato ripiene di liquore alla ciliegia. Queste caramelle si chiamano Boeri e sono ancora oggi apprezzate in tutto il mondo.

Un fatto noto a tutti è che il Sudafrica è pieno di diamanti, ce n’è dappertutto, lì non costano praticamente un cazzo. In stagione li paghi al chilo meno che le zucchine qui da noi, e a volte li infilano nei Boeri come sorpresa, ma è una sorpresa che non piace a nessuno. E sono praticamente indistruttibili! Magari uno c’ha il cortile pieno di sacchi di diamanti e vuole disfarsene: non può nemmeno romperli. Per questo il governo sta facendo costruire degli enormi buchi sotto terra, pieni di gallerie, per buttare via questo eccesso di diamanti che non serve a niente.

Il Sudafrica, molti si ricordano che è stato a lungo flagellato dalla piaga dell’apartheid [pron. apartàid]: in pratica le persone negre, o con un nome da negro, o che portavano cappelli da negro, erano considerate “persone di serie B”, con cui non era utile perdere tempo, e a cui venivano sempre rifilati i diamanti peggiori. Questa situazione durò per un po’, finché venne abolita, ed i negri ne approfittarono subito per eleggere presidente uno dei loro, tal Nelson Mandela, un tipo sbucato fuori chissà da dove, che erano anni che non si vedeva in giro. Adesso i diamanti peggiori li danno ai bianchi, ma così è la vita: oggi tocca a me e domani a te.

Un’ultima osservazione: in Sudafrica sarà presente, per la prima volta nella storia, la nazionale di “calcio” della Nuova Zelanda, per partecipare a quelli che si annunciano come i “veri mondiali di calcio” del 2010. Il prodotto tipico della Nuova Zelanda sono i Maori, delle caramelle dolcissime ripiene di liquore alla mora. Sono un prodotto goloso ma ipercalorico: infatti se dei Maori si incontrano con dei Boeri su un autobus, avviene il diabete.

cervezaQuando conobbi Marcos, anni fa, era grande e grosso. Ed era un grandissimo consumatore di birra e di cannoni (spinelli, sigarette piene di droga leggera, per intenderci). E in tutti questi anni Marcos non ha mai smesso di essere un grandissimo consumatore di birra e di cannoni. Poi, un paio di mesi fa, il dottore gli ha detto: “Marcos, non puoi continuare così, devi scegliere: o la birra o i cannoni” (forse non ha detto proprio “cannoni”, magari ha detto “sigarette piene di droga leggera”, ma non importa). Marcos ci ha pensato una frazione di secondo e ha risposto, con un sospiro: “Ok, via le birre, ché ai cannoni porprio non ci posso rinunciare“. E così il mio amico Marcos ha smesso di bere la birra. Se proprio è in giro di festa, magari si concede un gin-tonic o due, ma proprio in via del tutto eccezionale. Basta birra, basta alcol. Si consola con i cannoni, magari ne fuma più di prima, ma con la birra ha smesso.

E ha smesso con impegno. Adesso quando arriva al bar, per prima cosa ordina una birra piccola. Che per uno come lui, una birra piccola è proprio come non berla. Lui ha sempre bevuto birre grandi, e vederlo lì, tutto grande e grosso, con in mano una birrettina piccola di quelle che si scolano in un sorso, beh, ha ragione lui, è proprio come non berla. E siccome ha proprio smesso, per ribadire questo concetto subito dopo ordina un’altra birrettina piccola. Via anche quella, in un sorso. E poi un’altra, e un’altra, e altre due e altre tre. Solo quando si è scolato almeno una quindicina di birrettine piccole, solo allora, quando praticamente ha smesso del tutto, quando non rimane alcun dubbio sul fatto di aver proprio smesso definitivamente di bere la birra, ecco, allora, tutto soddisfatto, ordina la prima birra grande. Che dopo tutto quell’aver smesso, se la merita proprio una bella birra.

I bar della provincia di Almería, nonostante la botta iniziale, stanno cominciando a riprendersi dal grave choc provocato dalla notizia di Marcos che ha smesso di bere la birra.

roccoEcco. Ieri hanno tolto le palle al Rocco. Dice il veterinario che c’era un piccolo tumore, e poi gli faceva male, e insomma, via, tagliare. Un’oretta addormentato, e si è svegliato un po’ più leggero. Tristezza e sgomento tra le cagnette di San José. Ma fermi tutti. Giusto un attimo prima che l’imbecille di turno cominci a sghignazzare, o a fare ironie del cazzo, lasciatemi ricordare un paio di cose: 1. il summenzionato imbecille dovrà ritenersi baciato dalla fortuna se, giunto alla fine della miglior carriera sessuale che possa desiderare per sé stesso, avrà trombato la metà (o un quarto) di quello che ha trombato il Rocco; 2. sono decine e decine i cani, sparsi tra l’Italia, la Spagna e chissà dove altro, che possono orgogliosamente vantare cotanto padre; 3. il noto attore sentimentale Rocco Siffredi, che fin dagli esordi della sua gloriosa carriera si è dichiaratamente ispirato al mio cane, ha mandato un affettuoso telegramma di commossa partecipazione.

Insomma, il vecchio guerriero, quello che ha cambiato per sempre le regole della seduzione canina a San José, è andato in pensione: lo aspettano lunghe passeggiate al sole, finalmente incurante della tirannia ormonale delle femmine, partite a carte al circolo dei vecchi, tanta pace e saggezza. Ogni tanto uno dei figli manderà una cartolina dai posti più disparati del mondo, e lui tirerà fuori uno di quei sorrisi per i quali continuano a sbrodolare cagnette di tutte le taglie e di tutte le razze. James Dean, sposta il culo, che un nuovo mito è venuto a svaccarsi nell’Olimpo dei fighi di tutti i tempi.

della sua gloriosa carrieradella sua gloriosa carriera

lapo elkannLa gente che non è vissuta allora non lo crederà, ma già allora, e non soltanto adesso, i tempi procedevano alla velocità di un cammello. Non si sapeva però in quale direzione. Ed era difficile distinguere il sopra dal sotto, e le cose in regresso da quelle in progresso.

[Robert Musil, da L’uomo senza qualità]

Essere l’ultimo rampollo della più blasonata dinastia industriale italiana; poter avere a disposizione, quasi per diritto divino, tutto il comprabile esistente o esistibile; e non riuscire ciononostante a scrollarsi di dosso una certa qual aura da sfigato. Come l’ultimo Buendía, quello che nasce dopo cent’anni con il bigolo arricciato come un cavatappi. Amaro è il destino del signor Lapo Elkann, un nome da fumetto tenerone scaraventato in un mondo troppo duro. Destino amaro, e non è ancor certo se nel mondo di domani la memoria collettiva riuscirà ad associare alla sua persona qualcosa in più di un coma da cocaina transessuale.

Il ragazzo è buono, c’ha uno sguardo mite e sarebbe anche pieno di buone intenzioni; il problema è che i primi a non credere in lui sono quelli della gran famiglia. Doveva rilanciare nientemeno che il marchio FIAT, una parola: inteso come marchio d’automobili è evidente che sarebbe stata impresa titanica e destinata a necessario fallimento. Ma lui non s’è scoraggiato, e ha venduto per il mondo milioni di felpe con scritto FIAT, che vanno a ruba e dicono anche che siano di buon tessuto, mica come i coprisedili della Ritmo. La concorrenza, anche fica, Audi o Mercedes per dire, non risulta che tirino altrettanto nel segmento felpe [*].

L’ombra grossa del nonno, dicono, impossibile da dimenticare. E le disavventure che perfidi nemici continuano a buttargli addosso. Adesso ha aperto uno studio creativo in pieno centro, a Torino, e si è messo a progettare occhiali in carbonio e “idee”. Gli occhiali in carbonio sono occhiali in carbonio, c’è poco da discutere, anche se non si sa a cosa cazzo servono. Sulle idee sta lavorando sodo: previsti a breve il lancio del “panino con pomodoro e mozzarella” e un innovativo “ombrello in tessuto impermeabile”. Più altre cose, ovviamente top secret.

Una volta Lapo Elkan disse: “Credo nell’aldilà, ma la Chiesa rallenta la competitività“. Qualcosa da obiettare?

_____________________________________________

[*] Quando si parla del mercato dell’auto, è importante usare il termine “segmento”.

Il contenuto è protetto da password. Per visualizzarlo inserisci di seguito la password:

quadro rosa

Questo quadro mi è stato donato dall’autore, il poeta e pittore viterbese Giulio Nocera. È stato subdolamente introdotto in casa mia con la banale scusa di un regalo di compleanno (ma che bella sorpresa!).

Il quadro non è brutto (dipende se ti piace o no), ed in generale non sono preconcettamente contrario ai regali alla mia persona. Ma vorrei qui fare alcune osservazioni: 1. non sono ghei e non mi è mai piaciuto il rosa; 2. secondo me il quadro sta meglio in orizzontale che in verticale, come insiste l’autore, il ballerino e maniscalco Giulio Nocera; 3. se fai un regalo, cerca almeno di farlo bene. Spiego il punto tre: 3a. il quadro è fatto malissimo, a cominciare dal rosa che è dato alla cazzo, si vedono tutte le strisciate; 3b. sotto il rosa si vedono un sacco di scarabocchi fatti a matita; 3c. Giulio, non hai pitturato i bordi. Spiego questo punto: a me i quadri mi piacciono dipinti anche sul bordo, lo spessore insomma; se ne commissiono uno, lo specifico subito, ed il fatto che questo quadro fosse gratis secondo me non cambia la questione. Ho detto all’autore, il commediografo e alpinista Giulio Nocera “per piacere, giacché debbo accettare codesto tuo regalo, almeno dipingimi i bordi” e chiunque avrebbe capito che intendevo che li volevo dipinti di rosa. E invece cosa fa il cuoco e maître à penser Giulio Nocera? Me li dipinge di nero. Ma non tutti, solo due perché poi non aveva più tempo perché doveva andare a lisciare una porta perché sennò c’era una che ci rimetteva la caparra dell’affitto perché erano stati i suoi cani a graffiare la porta, non suoi di Giulio ma della tipa, i cani, la porta del padrone di casa. Insomma rimango con un quadro rosa, con mezzi bordi neri e mezzi bianchi: un’arlecchinata pazzesca.

anelloPer amor di verità debbo anche riconoscere che l’orafo e commentatore meteo Giulio Nocera, oltre a suonare pregevolmente il flauto, mi regalò tempo addietro anche un bellissimo anello d’argento fatto da lui, su cui non ho nulla da ridire. Bravo Giulio.

Artisti poliedrici all’alba dell’età adulta.

litfiba

– Sì, pronto?

– Pronto, Ghigo, sei te? So’ Piero!

– Piero? che Piero? Ah, scusa, cazzo! Non me l’aspettavo… che? come butta?

– Butta bene, alla grande, ‘ome sempre! C’ho avuto un’idea, c’ho avuto, che se te la dìo ‘un ci ‘redi nemmeno. ‘ndovina ‘n po’? ‘un c’arrivi? Ma vvia, si rifondano i Litfiba, dio bonino, ‘he so’ trent’anni giusti giusti, si torna on the roadde, ‘ome una volta. ‘he ti sembra? si fa? eh?

– Piero, calma un attimino, eh… a parte che non ci parliamo da diec’anni, ma che sei matto?

– O Ghigo, ‘un ti riòrdi ‘uanta fìa s’aveva attorno?

– Sì, Piero, certo, ma vedi…

– O Ghigo, ‘he ti succede? ‘un ce penzi mai a ‘uegl’anni, s’era i migliori, s’era; artro ‘he i Neramaro, i ‘anadians

– Piero, ao’, ti vuoi calmare? che ti succede a te? c’è qualche problema?

– Problema? te tu sei matto! Ma ‘uando mai…

– E quindi?

– O Ghigo… a te te lo posso di’… butta mìa tanto bene, sa’? Te lo devo di’, ‘un ce la fo più. So’ finito… ma te tu lo sai ‘he m’è successo giusto ieri? Me stavo a ‘ncrocia’ du’ belle figliole, proprimmezzo a Ponte Vecchio, e siccome te tu lo sai ‘ome so’ fatto, me so’ provato a piglia’ ‘n po’ di portamento fiero, te lo riòrdi ‘ome si faceva noi pe’ acchiappa’… e ‘uelle, nulla, ‘un mi ‘acano punto, e mentre passeno sento una ‘he li dice a ‘uell’artra: “Te tu l’ha’ visto ‘uel bischero? ‘he è l’imitazione di Piero Pelù?“, e l’artra ‘he ci risponde: “Piero Pelù ‘hi? ‘uello dei Pooh?“.

– Piero…

E c’ha raggione i’ mi’ agente, ‘he dice ‘he piglio dippiù a fa’ lle serate ‘n discotea ‘ome sosia di me stesso… Ghigo, amìo mio di tutta la vita, ‘un ce la fo più! Penza, si riomicia tutto daccapo, si torna grandi…

– Piero, io c’ho mal di schiena, non lo so se reggo ancora certi ritmi…

– Ghighino bello, dimmi di sì, ‘ome ‘na volta… io solo se ci penzo, mi viene dentro tutt’un’energia, una forza…

– Piero, non so cosa dire, mi confondi… potremmo provare, ecco, con un disco, e magari quattro date, tanto per vedere…

– E io lo sapevo ‘he i’ mi’ Ghighino bellino alla fine diceva di sì. O Ghigo, monta la batteria, ‘he ‘n cinque minuti sono da te.

– Piero, io suono la chitarra.

– Eh? Sì, si, ‘ome tu vuoi. Volo…

amici

infeltrito

infeltrito

Innanzitutto. Innanzitutto un doveroso “grazie“, di cuore, col cuore, con gli occhi gonfi di sonno, per tutto quello che Giovanni Lindo Ferretti ci ha regalato dato in tanti anni di onorata carriera artistica. E anche un doverosissimoprego“, giusto così, per gli svariati biglietti da mille (lire), e da dieci (euri), che hanno fatto cambio di residenza dalle nostre tasche a quelle di lui Giovanni Lindo.

Ma la questione è un’altra. Ha a che fare con la “conversione” di quest’uomo che, ormai da tre anni, fa una (non richiesta) professione di fede e di adesione alla chiesa cattolica, al suo Benedetto leader, e pure, politicamente, alla destra italica e berlusconica, anti-abortista e neo-concordataria, il tutto con il patrocinio dell’Alto Commissario ai Voltagabbana Giuliano Ferrara. Il tempo trascorso gli ha sicuramente permesso di riempire camion e camion e camion di insulti stercolari, risolini di compassione, scuoter di testoni, e anche qualche entusiastico interessato “finalmente“. Inutile caricare ancora, non ora, non qui.

Vogliamo qui invece dar conto di un dibattito altro, che da tale vicenda ha preso spunto e sugo: se sia da reputar dannoso il consumo di droga in sé, o non sia piuttosto nella rinuncia alla medesima la causa prima di tanta follia. Vi è chi propende per la prima ipotesi, teorizzando danni celebrali andatisi accumulando nel corso degli anni, ed ascrivibili all’assunzione di svariate e smodate sostanze tossiche; e chi invece va sottolineando la congiunzione temporale tra l’entrata nel “tunnel della non-droga” e l’esplicitarsi della sua nuova teosofia, fino a dedurne una correlazione di causa-effetto. Mauro, Chiara, Giulio e il suo amico immaginario fieri alfieri della prima, e Mirka, Sandro, Ginevra e la sua amica pelosa gagliardi stendardi della seconda. Non c’è modo di venirne a capo.

Per questo, e solo per questo, ma anche per testare una nuova inutility di questo blog, lanciamo il sondaggio sottostante.

Una volta raccolto un campione di mille voti, stamperemo il risultato su una lunga striscia di carta, che poi arrotoleremo attorno ad un cilindro di cartone marroncino ed introdurremo di nascosto all’interno di una mega confezione di papel higiénico (marca Eco Planet) nel supermercato Carrefour di Almería. Per questo, e solo per questo, ma anche per altri futili motivi, vi invitiamo a votare massicciamente.

A Giovanni Lindo, forza e coraggio: l’è dura, ma passerà.

scherzano

si scherzano

L’aveva detto, Ruphus, su questo blog e su Politiculo: si parlava di una possibile tresca tra Michelle Obama e Bruce Springsteen, e della possibile reazione del di lei consorte; scrissimo: “[…] sicuramente Obama non se la prenderebbe, non avrebbe scatti d’ira inconsulti. Parlerebbe con tutti, manderebbe altri soldati in Afghanistan, farebbe fare la pace tra Israele e quegli altri, insomma si attiverebbe un casino per la pace nel mondo […]“.

Orbene, sul fatto di mandare altri soldati in Afghanistan, mi pare che ne siano in partenza un 30.000, morituro più, morituro meno. Sul fatto di non prendersela, una notiziola in Italia praticamente censurata, ma apparsa in bella evidenza per esempio sulla stampa spagnola. Risulta dunque che Obama è andato al Kennedy Center, a premiare di persona degli artisti, tra cui Robert “You talkin’ to me?” De Niro e qualche altra vecchia scoreggia. Tra i premiati, c’era anche, guarda la casualità, Bruce Springsteen. Ecco; Obama poteva dargli la sua medaglia, stringergli la mano, e via, subito a Washington a governare. Invece no; lui c’ha tenuto a far vedere che non è incazzato; ha persino scherzato con il vecchio rocker, dicendogli: “I’m the President, but you’re the Boss!“. Ha ha ha, ha ha ha, gli ha fatto una battuta, niente di speciale, è vero, ma l’ha detta solo sdrammatizzare un po’, come piace fare a lui. Signori, che stile.

Tra i premiati c’era anche una vecchia cicciona, cantante lirica o roba del genere. I giornali non lo riportano, ma sono sicuro che Obama ha avuto delle parole di incoraggiamento anche per ‘sta qua. “Su con la vita” le avrà detto, o qualcosa del genere, perché lui è fatto così.

felix lalùFelix Lalù è un personaggio che ha iniziato a girare per Trento quando io avevo ormai smesso. Per cui non ci siamo mai conosciuti, e forse è un peccato, ma alternative non ne vedo. Mi fossi fermato a in Trentino forse avrei conosciuto Felix Lalù, ma mi sarei perso di dormire in spiaggia intere estati. Oppure avrebbe potuto Felix Lalù iniziare prima a girare per Trento, per conoscere me, ma magari sarebbe stato poco più che un quindicenne, e mi avrebbe fatto un po’ schifo. Insomma, tanti giri di parole solo per dire che 1. ho sempre pensato che fare un’intervista fosse una cazzata, basta fare delle domande; 2. non la penso più così.

Dobbiamo quindi prima conoscerci, rompere il ghiaccio, perché io personalmente di Felix Lalù so solo quello che butta nei suoi blogz e nelle sue canzoni.

Ruphus: Felix Lalù e la Piccola Orchestra Felix Lalù sono la stessa cosa? O la Piccola Orchestra Felix Lalù è Felix Lalù con qualcos’altro? Cosa?

Felix Lalù: Partendo dal presupposto che sei quel che fai no? Allora La Piccola Orchestra Felix Lalù è un gruppo fatto di una persona più altri due che ci sono ma non proprio nel vero senso della parola: questi due sono Miroslav Fagocevic al contrabbasso e Florian Egger alla fisarmonica. Poi alle volte si aggiungono altri musicisti. Quest’anno sono stati una sessantina. Non tutti la stessa volta. Felix Lalù invece è solo quello che scrive sul blog e che una volta faceva anche delle cose con l’arte e le mostre finchè le mostre non gli hanno rotto il cazzo e allora più o meno basta ma in realtà è colpa che non c’ha tempo. Poi c’è La Ostia – Registrazioni Artigianali che è quella che fa i video e che anche produce La Piccola Orchestra Felix Lalù. Esiste un rapporto di amicizia e puranche di mutua sopportazione tra queste persone che fanno cose. A volte le confondono, ma se le confondono di solito si offendono e allora sguinzagliano i cani affamati e addestrati a mordere le parti infime blablabla.

ostiaR.: Felix Lalù fa un sacco di cose: se vai sul suo blog, vedi che ha in programma concerti da qui al marzo a venire; ha scritto un libro, o almeno mezzo; organizza cose; ha un sacco di idee e le mette in pratica. Ovvero sembra una persona costantemente ossessionata dal “fare”. Cosa ti spinge a tanto attivismo? L’insoddisfazione per lo stato di cose presente o una voglia di autoaffermazione quasi superomistica?

F.L.: Oh, no, niente affermazione, anche se il superuomo di Nice è un bell’esempio cui aspirare volendo per forza aspirare a qualcosa. Se volessi affermarmi imparerei a fare qualcosa bene e farei solo quello no? Invece di star li a far di tutto senza sapere fare un cazzo a volte è frustrante, fa molto Quijote. Qui in Trentino lo chiamano “bon temp“, è il tempo del non lavoro, il tempo in cui fai che cazzo vuoi. Mi piace far che cazzo voglio.

R.: Parliamo di droghe. Legali, ovviamente. Fumi? Che marca? Quante?

F.L.: Niente, solo quando sono ubriaco e solo tabacco. Le sigarette son schife proprio.

R.: Parliamo di droghe. Legali. Cosa bevi? Quanto?

F.L.: Mi piace il rosso. E anche il resto.

grappaR.: Parliamo di droghe. Illegali. Metti per esempio che vai in casa di uno e ti offrono una grappetta, di quella che “la fa mio zio, di strabauz“: come ti comporti? Attento a come rispondi: se accetti il grappino puoi essere accusato di ricettazione; se te lo bevi, di distruzione della prova di un reato; se poi dici “mmm, che buona“, è apologia di reato; se dai qualche consiglio tipo “potresti aromatizzarla con un po’ di rucola“, e l’anno dopo fanno la grappa come hai detto tu, beh, concorso quanto meno esterno in associazione a delinquere non te lo leva nessuno. Quindi?

F.L.: Se vieni a casa mia c’è quella che fa mio padre più tutte le erbe che ci vuoi mettere. Mai comprato grappa in vita mia, e quella al bar è sempre un po’ slavata.

R.: Parliamo di musica. C’è una canzone di Felix Lalù che mi piace una spanna sopra le altre. Si tratta di Le Lu La Lu. L’ho ascoltata migliaia di volte, e continua a sorprendermi. Soprattutto quando inizia così, all’improvviso, magari con lo stereo spento. Qual’è il segreto di questa canzone?

F.L.: Il ritornello è rubato a una canzone dei International Noise Conspiracy, il gruppo nuovo del cantante dei Refused. Solo quel pezzo in realtà probabilmente è una spalla sopra le altre perché è l’unica con un testo che non è un elenco.

R.: Chi è la Nia de los Gorgojillos?

F.L.: È la mia compagna d’appartamento, canta solo per me perché si vergogna.

R.: Saresti capace di scrivere un’altra canzone altrettanto bella e coinvolgente? Se si, cosa aspetti?

F.L.: Beh, questa è semplice. Aspetto l’aspirazione.

R.: Parliamo di musica. Parliamone (risposta libera)

F.L.: La musica è fica, ma non bisogna star lì tanto a menarsela sulla musica. Meglio farla che parlarne. È come quando racconti al tuo amico di quando ti sei fatto quella, in confronto a quando invece te la sei fatta davvero. Non c’è paragone.

bastarockR.: Parliamo di libri. Tu ne hai scritto uno, o almeno mezzo. Non sono corso a comprarlo perché, verosimilmente, la prima libreria che immagino possa averlo a disposizione si trova a circa chilometri duemila dal mio domicilio abituale. E poi, perché nasconderlo, sto aspettando il giorno in cui saranno le case editrici a mandarmi, gratix, i loro prodotti, affinché io ne parli bene. Per cui parlaci un po’ tu di Bastarock. L’underground dei Bastard Sons of Dioniso. Prova a farci sentire come se il libro lo avessimo già letto, cioè migliori di prima.

F.L.: Bella questa. La gente vede i gruppi suonare nel momento in cui suonano. Da qualche anno vede i MySpace, sentono la musica, vedono i video, bene. Poi leggono le biografie in cui di solito il gruppo racconta in che anno è nato, quali sono i componenti, quanti concorsi hanno vinto, quanti dischi hanno pubblicato, a che gruppone hanno aperto alle quattro del pomeriggio. Ecco nel libro non ci sono tutte queste cagate che si trovano già li e che, obiettivamente, non gliene frega un cazzo a nessuno. C’è una cosa che la gente non vede. È il lavoro che c’è dietro a inventarsi un nome, a cercare la gente con cui suonare, a inventarsi una canzone, a darle una forma con altra gente, altri musicisti che hanno tutti gusti diversi (si spera). Ma anche a trovarsi una sala prove, a caricare e scaricare e poi ad andare in giro a far concerti. Perchè poi lì entri in contatto con una fauna di manzi beoni e gente assurda che fa musica o la va ad ascoltare. La gente non sa cosa vuol dire suonare in giro come facciamo noi. Magari è una cagata, ma è divertente. Ecco, nel libro ci sono queste cose qui. Ah, il libro è questo.

R.: Parliamo di musica. Trentino, terra che rima con vino, certo, ma anche culla di alcuni progetti “laterali” di grandissima levatura. Ho detto “laterali” per dire una cosa che un classificatore di dischi molto pigro potrebbe etichettare come “demenziale”, ma tu ed io sappiamo benissimo quanto questo vocabolo sia restrittivo e castrante. Stiamo parlando dei Capelli di Cesare Ragazzi, stiamo parlando dei The Ficient, dei Supercani e, ovviamente, di Felix Lalù. Qualcosa che va cioè ben oltre il “demenziale”, nato in una terra famosa al mondo unicamente per il suo concilio (concilio che tra l’altro è stato uno dei maggiori assembramenti di puttane dell’era pre-televisiva). I Capelli di Cesare Ragazzi, al pari di Platone, non hanno lasciato traccia documentale ufficiale della loro attività: tu sei in possesso di qualche nastro-pirata sopravissuto all’oblìo dei tempi? me lo passeresti?

F.L.: Se c’è una cosa di cui mi posso beare nella vita è quella di aver salvato dall’oblio I Capelli di Cesare Ragazzi. Quando ho cominciato a frequentare i Supercani, dei geni a cui devo quasi tutto quello che so fare ora, si parlava dei Capelli, ma Gianluchi era restio, sai, lui le cose passate le mette via. Boris mi ha passato le cassettine e sono state una folgorazione. Le so a memoria. Mi son messo li e ho digitalizzato pezzo per pezzo tutte le cassettine. Se vuoi te li mando. I Capelli di Cesare Ragazzi per me sono stati importanti quanto i Rage Against the Machine. Una roba del genere dovrebbe essere insegnata nelle scuole, altro che balle.

R.: Parlaci del tuo ultimo disco / del tuo prossimo disco (a scelta)

F.L.: L’ultimo lo scarichi gratuitamente da qui, c’è poco da dire ma molto da ascoltare. Qui c’è anche lo spot. Il prossimo sarà sicuramente più rock, ma forse anche no.I pezzi nuovi ci sono, basta prendersi il tempo per registrarlo.

R.: Bestemmi?

F.L.: Volentieri.

R.: In privato o anche in pubblico?

F.L.: Anche in pubblico ma poi mi vergogno.

R.: Sei di quelli che preferiscono dire Porcozio o Porcodue?

F.L.: Che gusto c’è? Al massimo Ostia. Quello tanto. Ultimamente ho in voga DioPorcoDio ma in adolescenza col mio socio Roberto passavamo le ore aspetttando che ci raccattassero in autostop inventandoci bestemmie. Tra le migliori: Dio violentatore di negretti, Dio scandinavo, Dio narcotrafficante, Dio nudo in una valle di gay. Poi, come dice il mio socio, “dio è come il nero, sta bene con tutto“. Dio sbadila merda mi sa che esisteva già, ma pensavamo di averla inventata noi. Beata gioventù.

R.: Già. A me piaceva, a suo tempo, pensare di aver inventato Dio straripa merda, e magari l’avevo proprio inventato io. Ha un futuro Felix Lalù? Quale?

F.L.: Ha un presente per il momento. Non è che sto lì a dirti No Future, però in fondo chi se ne incula. Va dove ti porta il clito (cit.)

R.: Cosa ne pensi dei Canadians?

F.L.: Bah, boh. A me i gruppi mezzi acustici mi son sempre sembrati un po’ pacco. Me compreso.

R.: Ciao e grazie.

F.L.: Oh, grazie, la mejo intervista che mi abbiano mai fatto.

Iersera, complice un complesso concorso di concause, sono approdato al Chiri’n’go del Chamán, che stavano suonando gli Ea!. Io non lo sapevo mica che la cantante di questo simpatico complessino da spiaggia era una vecchia. Somiglia abbastanza alla Rosa che mi fa l’orlo ai pantaloni, solo che la Rosa, per qualche storia sanitaria sua, non si capisce un cazzo quando parla, che biascica tutte le parole. Questa invece (al secolo Pilar “La Mónica”), ovviamente non biascica, e canta anzi bene, come nei dischi, ma a me, vedere ‘sta vecchia in calzamaglia viola saltellare sul palco mi ha un po’ smontato. Poi possiamo anche discutere del fatto che le vecchie possano o non possano avere il diritto a cantare nei complessini, ognuno è libero di pensarla come vuole e non sarò io a scagliare la prima pietra, però ecco, a me peronalmente mi ha smontato abbastanza. Per cui ho bevuto il mio Tequila Sunrise, ho fatto finta di salutare a questo e a quello, e me ne sono andato.

Ora, la prossima volta che porterò alla sarta le mie mutande da rattoppare, starò molto attento, e sicuramente in un angolino sconosciuto della mia mente sentirò piccoline e leggere le note di Agua de limón, e mi spunterà un perfido sorriso di cui la Rosa ignorerà sempre origine e significato.

Magari capita anche che uno va fino a Cartagena (e vabbè, mica dall’altra parte del mondo, d’accordo) per vedere un concerto della Concha Buika. Un po’ per non perdere il mio ritmo vertiginoso di almeno un bel concerto ogni paio d’anni. Ma soprattutto perché la Concha Buika è oggettivamente una delle pochissime persone capaci di farmi muovere il culo.

Hiromi Uehara: su di giri

Magari capita anche che uno apprende con sconforto che gli tocca di sciropparsi, come gruppo spalla, un certo Hiromi Quartet, e la foto e il nome non lasciano scampo: si tratta di roba giapponese. Allora: io non so parlare di jazz, per cui ve la racconto un po’ così come viene. Risulta quindi che di giapponesi ce n’è solo una, tal Hiromi Uehara, pianista. Che è una tipetta gialla vestita da gattara e pettinata con le bombe a mano, che saltella come un grillo tra un gigantesco pianoforte a coda (gigantesco: grande normale, ma lo sembra di più perché lei è piccolina) e altre tastierine, alcune rosa. Notevoli le scarpettine d’argento. Gli altri erano un bassista inglese perfetto, alto, con un berretto da bassista perfetto, stile Saturnino, velocissimo e virtuosistico. Sul chitarrista, americano, c’era un errore, in quanto era pettinato e si muoveva come l’amico Patrick, che come tutti sanno suona il saxofono. E saxofono a parte, sembrava un po’ incartato, probabilmente l’hanno contrattato all’ultimo momento senza neanche fargli un provino. Mah. Del batterista non ricordo un granché, era un brasiliano, credo, e vestiva un basco da batterista/percussionista molto corretto. Detto questo, se dobbiamo parlare della musica, c’è poco da dire: una bella botta d’energia. C’è dentro parecchia roba, come sempre, e non sarò certo io a fare né un nome né un paragone. Il solito misciotto in cui trovi di tutto, dal ragtime ai maestri del jazz elettrico, passando per il rock progressivo, il funky e i ritmi latini. Il tutto ad altissimo livello, e ad altissima velocità. Insomma, e-mule, torrent o Amazon, come volete voi, è roba che merita l’ascolto e anche l’acquisto.

Concha Buika: giù di corda

Magari capita anche che nell’intervallo tra i due concerti Ruphus si beva un paio di bicchieri di vino o tre. Quando torno in sala mi sprofondo nella mia poltroncina pregustando libidinosamente un evento che inseguivo da qualche anno. Chiudo anche gli occhi, e dopo due minuti mi sento prendere dallo sconforto: che mi sia ubriacato troppo? Com’è che non mi arriva niente di niente, nessuna emozione, nessuna vibrazione? Apro gli occhi e quello che vedo è una negra vestita dentro un enorme sacco grigio e nero che biascica rovinosamente le canzoni del suo  ultimo disco; e tra un pezzo e l’altro farfuglia frasi di circostanza sulla magia del posto eccetera; e che soprattutto fa calare vertiginosamente il contenuto di una bottiglia che di acqua certo non è. Signori, quella che è ciucca marcia è lei, la Concha. I musici si affannano, hanno voglia, provano loro a tirar su le sorti di un’esibizione ai limiti del grottesco, ma non c’è niente da fare. Rapidamente cominciano a svuotarsi file intere di poltroncine, quando da tempo i biglietti erano esauriti in prevendita. Finita, come da contratto, la presentazione di El último trago, il pianista prova ad attaccare un pezzo di quelli famosi, ma la Concha gli fa segno che no, scuote la testa, una mano, non ce la fa proprio; la bottiglia è vuota. Rimasta sola sulla scena, con un ultimo sforzo intona una versione a cappella di Ojos verdes, raccoglie i suoi applausi di circostanza e sparisce. Bella merda.

Magari capita anche che dopo, fuori dal teatro, ancora perplessi su ciò cui abbiamo assistito, ci si avvicinano il bassista e il chitarrista della giapponesina, e ci chiedono se abbiamo da fumare. La Sarlavia gli dà un paio di cannoni e quelli se ne vanno contenti.

Io ricordo che quando lavoravo in Gest i pianoforti li microfonavamo con due AKG di quelli importanti che stavano ognuno in una scatoletta tutta per sé. La Hiromi di microfoni ne usa tre. Che avanti questi giapponesi!

videocracyStasera mi sono visto Videocracy, di Erik Gandini. Ciò mi ha permesso in primo luogo di accostare delle facce a dei nomi che avevo scorso un paio di anni fa su repubblica.it, all’epoca di vallettopoli. Non vivendo in Italia e non avendo televisione, e fregandomene di tutte queste cose, di vallettopoli e dei personaggi coinvolti non avevo capito una minchia. Per cui stasera ho scoperto che: 1) Lele Mora è un signore oscenamente brutto, che ricorda un po’ troppo il cattivo diabolico di Lost Highway, e che probabilmente pippa più borotalco che cocaina; borotalco finissimo, leggerissimo e profumatissimo – 2) Fabrizio Corona è uno che spacca davvero, uno che va al massimo; ma lo fa per soldi, fa una fatica bestia, e non ride mai, peccato per lui – 3) l’Italia di oggi si può permettere ricchi ed aspiranti ricchi strepitosamente di merda – 4) sto proprio bene dove sto.

<B>Mystery Man</B> di <I>Lost Highway</I> vs. <B>Lele Mora</B>

Mystery Man di Lost Highway vs. Lele Mora

Però a me il fatto che questo Erik Gandini, svedese, venga a fare il brillante e a sindacare quello che succede in Italia, e a farci i film sopra, non è che mi sembra proprio bello. Sicuramente anche in Svezia avranno qualche magagna di cui parlare, no? Vogliamo parlare dei diritti del popolo Sami? [vedi qui] Vogliamo dirlo che in Svezia il rischio di una donna di morire per complicazioni della gravidanza o del parto è di un caso ogni 17.400? [vedi qui] Vogliamo parlare del fatto che in Svezia è vietato licenziare un prete anche se questo ha un’amante sposata? [qui] Ma lo sapevate che degli animalisti hanno fatto scudo con i loro corpi agli alci della riserva reale, e hanno impedito al re Carlo Gustavo di Svezia e ai suoi ospiti di proseguire la tradizionale battuta di caccia in una zona montagnosa nella Svezia centrale? [qui per approfondire] Così, tanto per dire…