mondo


Ci rimane sempre un po’ male, il turista che al tramonto incrocia sul molo il vecchio marinaio, pipa in bocca e sguardo fisso all’orizzonte, quando gli chiede che tempo farà l’indomani, e quello, invece di annusare il vento o studiare il volo dei gabbiani, tira fuori di tasca il suo bravo smartfon e, data una rapida occhiata all’app selezionata con le dita rugose, sciorina il responso di meteo24, previsioni affidabili da qui a una settimana.

Ci rimane sempre un po’ male, il turista, ma non lo fa vedere; ringrazia veloce il vecchio marinaio e se lo lascia rapidamente alle spalle, cammina impettito sul molo, fino a perdersi tra le famiglie che cercano un ristorante autentico dove cenare.

Un amico, giocoliere ed incantatore di flauti, si interessa saltuariamente di notizie di cronaca, oltre che di misteri circondanti le antiche civiltà. Ultimamente i fatti che hanno catturato la sua attenzione sono due: la rissa tra vigili urbani e finti gladiatori al Colosseo, e le gesta di quell’Anders Behring Breivik che per certe ragioni sue l’estate scorsa ammazzò un’ottantina di persone tra Oslo e dintorni (isola di Utoya). Di quest’ultimo argomento l’amico sa tutto, e gli piace rievocare accuratamente le fasi salienti della carneficina. Sa mimare il gesto con il quale quello imbracciava il fucile, puntava, ed abbatteva, uno dopo l’altro, dei giovani norvegesi in rapida fuga. Tra incontenibili risate l’amico racconta lo sbarco sull’isola, le prime vittime incredule, le decine di corpi insanguinati sulla spiaggia, il terrore dei giovani braccati. Devo dire che l’amico sa ricreare l’atmosfera, pur con questo tono leggero e certi risolini che in linea di principio si vorrebbero banditi da discorsi del genere; ma il racconto è appassionante e non stanca mai.

Ed ora che quest’uomo particolare è sotto processo nel suo paese, è inevitabile chiedersi se la bilancia della Giustizia, quella che vede su un piatto il dolore di tante persone, non debba avere sull’altro la bonaria allegria che gli stessi avvenimenti suscitano nell’amico, durante lunghi e paciosi pomeriggi pieni di spritz e di chiacchere a vuoto. Possono le lacrime degli uni essere almeno parzialmente asciugate dalla verve umorisitca dell’amico cabarettista, dal senso di placida armonia che egli sa infondere tra i compagni d’aperitivo? Speriamo di sì.

Dunque. A Berlino Est ci sono stato, sì, ma nel ’94, che il Muro era caduto già da un po’, e non era più la stessa cosa [*]. E i Pink Floyd anche, li ho visti, a Roma nell’88; ma Syd se ne era andato già da un pezzo, e non era più la stessa cosa… Per cui quando la Giu’ mi fa, diretta come solo lei usa: “A Ruphus, si va a Cuba quest’inverno?“, io faccio un rapido calcolo mentale (età aprossimata di Fidel + anni che passeranno prima di averne un’altra volta la possibilità così concreta) e dico: “Sì, certo!“. Questa volta non mi fregano. Ci voglio andare prima che non sia “più la stessa cosa“.

Perché Cuba?

Perché è ovvio, perché chi è stato comunista a vent’anni certe cose rimangono nel cuore; perché la Russia ci convinceva ma anche no, perché i cinesi non ci sono mai piaciuti del tutto, perché a parte gli asili-nido nel modenese, il vero esempio del socialismo riuscito, col volto solare, era sempre stato solo uno, Cuba…

Perché noi che facevamo le feste dell’Unità avevamo imparato la ricetta del vero mojito molto prima che diventasse un cocktail alla moda; perché il poster di Che Guevara lo avevamo sì in mezzo a quelli dei cantanti, ma sapevamo che non era un cantante; perché un look come quello del Che se lo sognavano pure i cantanti…

Perché la Revolución, El pueblo unido, il Che in Angola, la Baia dei Porci, il Che in Bolivia, Victor Jara, Davide contro Golia, il sorriso del Che, la guerriglia, l’orgoglio di un popolo, “el poeta eres tú“, il Che all’Onu, mito si sommava a mito e nulla pareva poterlo scalfire mai…

Nonostante il mito di Hemingway.

Perché Guantanamera, e Compay Segundo, e Cuando calienta el sol, e Ry Cooder, e Ay! Candela; e perché, soprattutto, Cuuuuba, tara-ta-taaá / quiero bailar la saaalsaaaaa, para-pa-paaá.

Perché il tenente Colombo la definì “La terra più bella che mai occhi umani videro!

Perché quando i sogni e le speranze e le utopie crollano inesorabilmente l’una dopo l’altra, più forte vien da afferrarsi a quelle che ancora resistono in piedi, in un modo o nell’altro.

Perché agli americani, solo a pensarci, gli vien di tutto.

Perché la canta Daniele Silvestri.

Nonostante l’abbia cantata Eugenio Finardi.

Perché nonostante tutto.

Perché quando qui fa freddo, perché le spiagge di Varadero, perché una vacanza ai tropici mica deve fare schifo per forza.

Perché per una volta voglio vedere con i miei occhi, prima che le cose non siano più le stesse di prima.

Ecco, fu per tutto questo, e per mille altre ragioni che a scrivere non sto, che con la Giu’, la mia migliore compagna di sbronze di sempre, ci imbarcammo a Madrid, su un volo Conviasa, destinazione La Habana, con sosta a Caracas.

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[*] L’ho già scritto altrove, ma quella che il muro di Berlino sia “caduto” è una bufala bella e buona; l’hanno buttato giù apposta, ma non lo vogliono dire apertamente per non compromettere nessuno

diamantiSudafrica! Oggi tutti hanno in bocca questa parola, ma cosa sappiamo realmente di cos’è il Sudafrica?

Secondo la moderna paleoantropologia, il Sudafrica fu probabilmente la “culla dell’umanità”; qui (soprattutto nella zona del Transvaal) si sono infatti trovati fossili di australopiteci, Homo habilis, Homo erectus e altra robaccia assortita. Molti secoli più tardi fu colonizzato da degli olandesi speciali chiamati “boeri”, gente alla buona e di poche chiacchere, dedita a coltivare la terra, le cui donne preparavano delle gustosissime caramelle di cioccolato ripiene di liquore alla ciliegia. Queste caramelle si chiamano Boeri e sono ancora oggi apprezzate in tutto il mondo.

Un fatto noto a tutti è che il Sudafrica è pieno di diamanti, ce n’è dappertutto, lì non costano praticamente un cazzo. In stagione li paghi al chilo meno che le zucchine qui da noi, e a volte li infilano nei Boeri come sorpresa, ma è una sorpresa che non piace a nessuno. E sono praticamente indistruttibili! Magari uno c’ha il cortile pieno di sacchi di diamanti e vuole disfarsene: non può nemmeno romperli. Per questo il governo sta facendo costruire degli enormi buchi sotto terra, pieni di gallerie, per buttare via questo eccesso di diamanti che non serve a niente.

Il Sudafrica, molti si ricordano che è stato a lungo flagellato dalla piaga dell’apartheid [pron. apartàid]: in pratica le persone negre, o con un nome da negro, o che portavano cappelli da negro, erano considerate “persone di serie B”, con cui non era utile perdere tempo, e a cui venivano sempre rifilati i diamanti peggiori. Questa situazione durò per un po’, finché venne abolita, ed i negri ne approfittarono subito per eleggere presidente uno dei loro, tal Nelson Mandela, un tipo sbucato fuori chissà da dove, che erano anni che non si vedeva in giro. Adesso i diamanti peggiori li danno ai bianchi, ma così è la vita: oggi tocca a me e domani a te.

Un’ultima osservazione: in Sudafrica sarà presente, per la prima volta nella storia, la nazionale di “calcio” della Nuova Zelanda, per partecipare a quelli che si annunciano come i “veri mondiali di calcio” del 2010. Il prodotto tipico della Nuova Zelanda sono i Maori, delle caramelle dolcissime ripiene di liquore alla mora. Sono un prodotto goloso ma ipercalorico: infatti se dei Maori si incontrano con dei Boeri su un autobus, avviene il diabete.

grassaDa parecchi anni ormai, puntualmente, una o due volte tra ottobre e maggio Ruphus diventa preda per qualche giorno di una tosse particolarmente violenta e fastidiosa. Da parecchi anni ormai, puntualmente, una o due volte tra ottobre e maggio si svolge il seguente siparietto tra Ruphus e il farmacista:

Ruphus: Salve. Ho una tosse molto forte e vorrei qualche cosa per calmarla. Qualcosa di potente, se possibile.

farmacista: Certamente. Si tratta di una tosse grassa o secca?

R.: Mi scusi, non ho capito la domanda. Potrebbe riformularmela in maniera più precisa?

f.: Voglio dire, la sua è una tosse, diciamo così, ecco, molto secca, o non piuttosto una tosse, come dire, magari un po’ più grassa?

R.: Ma, guardi, a me sembra proprio una tosse così, molto forte, tossisco molto. Tossire mi sembra una cosa piuttosto secca in sé, non riesco ad immaginare una tosse grassa. Cosa intende per tosse grassa?

f.: Eh, una tosse insomma, anche con espettorazioni, sa, più… più grassa, ecco. Non secca. Non una tosse così, secca. Grassa.

R.: Mi scusi ancora, non riesco a comprendere i termini della questione. Non avrebbe mica un prodotto più generale, utile sia in caso di tosse grassa che per quella secca?

f.: Certamente, ecco qua. Un cucchiaio, massimo due, ogni otto ore.

Io mi bevo lo sciroppo, dopo qualche giorno la tosse se ne va, e io resto con il grande interrogativo se la mia sia una tosse secca o grassa.

Finché, l’altro giorno, evviva evviva, mi sono svegliato con una bella tosse che non era come quella di sempre. Era grassa. Me la sentivo grassa, era evidentemente grassa, anche con espettorazioni. Ho capito in un istante che la tosse che avevo sempre avuto era una semplice tosse secca. Una tosse da stitici. Da taccagni. Una tosse da morti di fame, da squallide vecchiacce, da poveri curati di campagna; insomma, una miseria di tosse. Questa invece no, questa era una bella tosse ricca, pastosa, avvolgente, da signori, grassissima. Anche le espettorazioni, sissignore, anche quelle di colori forme e consistenze diverse, copiose ed interessanti. Sentendomi una persona nuova sono volato in farmacia e alla fatidica domanda che per anni mi aveva fatto sentire un povero deficiente, ho potuto finalmente rispondere: “Grassa, mi è venuta una tosse bella grassa“. E mi sono dilungato sui particolari: “Soprattutto la mattina, sa? Che poi verso sera la noto che si fa un po’ più secca, solo un pochino però, lei mi capisce, vero? Però si tratta sicuramente di una tosse grassa, anche con espettorazioni“. Ero fiero e raggiante. Né ha intaccato la mia felicità il fatto che il farmacista mi abbia rifilato lo stesso sciroppo dell’anno scorso: “Un cucchiaio, massimo due, ogni otto ore“, mi ha spiegato, senza sembrar condividere il mio entusiasmo. Ho sospettato che la domanda che per anni mi ha angosciato, questo perentorio “Secca o grassa?“, che sembrava essere la chiave per capire e di conseguenza lenire i miei dolori, fosse in realtà solo uno stanco rituale in cui il farmacista stesso era il primo a non credere. Mi ha fatto un po’ pena.

Io adesso sto bevendo il mio sciroppo ogni otto ore, tra qualche giorno la tosse mi abbandonerà, ma io mi sento tanto più ricco, più completo. Non si finisce mai di crescere, non si finisce mai di imparare.

alambiccoQuando eravamo piccoli, io e mia sorella potevamo vantare, tra l’invidia generale, ben sei nonni e una bisnonna. Che se ognuno di essi avesse sganciato la sua regolare “diecimila”, capace che a dodici anni già vestivo Armani e fumavo Habana, circondato da puttanoni di lusso e cocaina colombiana. E invece alcuni erano lontani e li vedevamo poco, altri cominciarono a morire presto, insomma, pur con tanti nonni a disposizione alla partenza, non crescemmo in un ambiente iper-nonnizzato; e di “diecimila”, ben poche.

La più figa di tutti era la bisnonna: questa povera contadinotta nata sul finire dell’Ottocento in mezzo ad una dozzina abbondante di fratelli e sorelle, con la sua terza elementare, di cui andava ben fiera, aveva traversato l’oceano in bastimento per emigrare in ‘merica, come si faceva allora. Altro che “mi faccio un fine settimana da sballo a Londra, o a Goa“. E laggiù in America, addirittura nel Massachusetts, la mia bisnonna lavorava in fabbrica e distillava il whisky. Quando era illegale sia farlo che berlo. Ma per minimizzare i rischi vendeva il prodotto direttamente agli sbirri. Era fatta così. E sempre da quelle parti conobbe il grande Enrico Caruso, che anzi passava a casa sua a trovarla e a mangiare il lardo, che gli faceva bene alla voce, diceva.

Uno che invece non volle lasciar pranzare in casa sua fu Sua Eminenza il Cavalier Benito Mussolini, di tournee sul lago di Garda a cercar fedi per la patria. La bisnonna, che nel frattempo, tornata dall’America, aveva montato in paese una locanda col bisnonno, disse che lei, eminenza o non eminenza, a uno così non gli dava da mangiare. Il capoccione, visto il caratteraccio, dovette ripiegare ed andò a mangiare da un’altra parte.

Poco dopo, sul finire degli anni ’50, quando dagli States cominciava a sbarcare la modernità, la bisnonna entrò in età pensionabile e si appassionò un sacco alla santa messa in TV: uno dei pochissimi frutti del progresso che  riuscì ad apprezzare davvero. Passarono i Kennedy, il papa buono, l’uomo sulla luna; al bisnonno prima amputarono una gamba, poi morì. E passarono le Brigate Rosse, vincemmo un mundial grazie ad un allenatore con la pipa, Renzo Arbore portava il made in Italy ai parenti americani, e la mia bisnonna, tutte le domeniche metteva il primo canale, che c’era la messa in diretta. Ecco, la messa e Furia cavallo del west, questi ricordo che erano i suoi programmi in assoluto preferiti. Morì contenta, credo; che lei sì l’aveva fatto il Novecento, altro che Bertolucci.

L’altro giorno, con la morte dell’ultima nonna avanzata, è finito un altro pezzetto di qualche cosa.

bastimento

birbaPss, non lo dite a nessuno. Un piccolo segreto. Non posso farci niente. Mi dà un gusto speciale, godo come una vaporiera, quando questa signorina gentile si raccomanda che allacciamo le cinture di sicurezza, e che le manteniamo allacciate almeno durante le fasi di decollo e atterraggio. Io, ovviamente, non allaccio un bel niente, mi sistemo in grembo una maglia o qualcosa e poi quando la signorina passa a controllare, le sorrido beato. E poi, ma che resti davvero tra noi, che non si sa mai, se mi sento particolarmente birichino mi piace anche di lasciare acceso il cellulare durante tutto il volo. Ops! Questo forse non dovevo dirlo? Ma sono fatto così, una vera birba. E poi mi piace da matti quando la signorina mi scopre e mi fa così col dito, come faceva la maestra quando la combinavo un po’ grossa.

Ti fa così col dito, la maestra, ma intanto ti sorride, per farti capire che è arrabbiata, sì, ma non troppo. Che ti vuole ancor bene. Che sarà ancora lieta di averti a bordo. Che spera tanto tu scelga ancora questa compagnia per i tuoi prossimi voli. Io le adoro, queste signorine carine degli aeroplani. E come la maestra, che a distanza di tanti anni si ricorda ancora di tutti i bimbetti che le sono passati per le mani, e potrebbe fare a memoria l’appello di una classe di quarant’anni prima, allo stesso modo mi piace pensare che queste signorine conservino per ognuno di noi passeggeri, anche per quelli più birbanti, un angolino in fondo al loro cuore; e che potrebbero di ognuno ricordare il numero di volo, e forse anche quello della poltrona, e l’aeroporto di destinazione. E che a quel giovanotto timido della terza fila piaceva tanto la ragazzina carina che guardava fuori dal finestrino. Stop.

pistolaEssendo il mio amico Luca per l’appunto il mio amico Luca, ho fatto uno strappo alla mia regola generale di non accettare inviti a pranzo da gente recentemente riprodottasi. Hanno fatto un figlio e l’hanno chiamato Riccardo. Ne hanno fatto un altro e l’hanno chiamato Vincenzo. “Ah, in onore della nonna” ho pensato. Ma poi mi è venuto in mente che la mamma del Luca si chiama A. più o meno da sempre. Il tarlo continuava a rodermi il cervello, finché un lampo ha illuminato la notte: la mamma del Luca si chiama A., sì, ma Alfonsi di cognome. Chiaro? No? Da Alfonsi ad Alfonsine il passo è breve; Alfonsine, località del ravennate nota per aver dato i natali al poetastro Monti, il “traduttor de’ traduttor d’Omero”. E come si chiamava il Monti di nome? Ma Vincenzo! Olè, applausi! Il cerchio si chiude ed io son contento.

Banane a parte, abbiam chiaccherato di questo e di quello, ed il Luca mi ha spiegato come mai un album così bello come Revolver dei Beatles ha avuto in sorte una copertina così brutta: tutta colpa, pare, di un ubriacone tedesco (di Amburgo). Mi son scordato di chiedergli come mai ad un album così bello avessero dato un titolo così stronzo.

revolver

Il würstel, detto anche salsicciotto, (il termine proviene dal diminutivo della parola tedesca Wurst, “insaccato”, secondo i dialetti tedeschi meridionali, laddove il termine in Hochdeutsch suonerebbe Würstchen) è una specie di insaccato fatta con carni tritate, bovine e suine, tipica della Germania e dell’Austria e, in Italia, dell’Alto Adige.

negri polaChe poi sarebbe anche ora di chiedersi come mai un popolo che si sceglie serenamente un presidente a tutti gli effetti negro, gli viene male al pensiero di un negro che si chiava una donna bianca. Inutile protestare, inutile girare la testa dall’altra parte: perché, dicano quello che vogliono le associazioni ed anche i singoli SOS-Racism, questo è un fatto, e puoi star sicuro che se Obama avesse avuto una moglie bianca, a tanti di quelli che lo hanno  votato, sentendosi ben moderni, sarebbe girate un po’ troppo le balle. E allora addio primo presidente afroamericano, erede ideale di John Brown, di Martin Luther King e di Eddie Murphy. Addio belle speranze di una nuova epoca e di un mondo migliore.

Da sempre, a quanto pare, questo fatto dell’uomo negro che si scopa una donna bianca, fa perdere il sonno a molti uomini bianchi. Molti trovano una spiegazione a questo fenomeno nel fatto che i negri tradizionalmente ce l’hanno “più grande” dei bianchi, e ciò sarebbe causa, almeno in parte, di certo nervosismo. Io non credo molto a questa teoria, perché non ho mai sentito nessuno dire: “Eh, si, caro geometra, che vuol farci, anche mia moglie tromba con un cinese; ma insomma, alla fin fine loro ce l’hanno talmente piccolo che non mi arrabbio neanche…”. No, non l’ho mai sentito un discorso del genere. E poi, se fosse questione di dimensioni, dovrebbero esserci altrettante reticenze nei confronti delle donne che scopano con i cavalli, ed invece Cicciolina è arrivata in parlamento, prima ed indimenticata rappresentante di una lunga lista di troie che ancora oggi stanno lì, fanno le fighe e se la tirano.

A me personalmente, quello che mi dà un po’ di fastidio nelle relazioni sessuali tra uomini negri e donne bianche è più che altro l’idea che questi negri, dopo, tornano nelle loro tribù e si vantano. Un po’ come quelli di Foggia quando andavano a scopare nell’ex-est-Europa (Polonia, Ungheria, ecc.). Ai negri infatti piace tantissimo bullarsi: uno perché ha guidato un’automobile vera, quell’altro perché c’ha la radio più grande, e così via; poi si danno un cinque. Poi salta fuori quello che dice che si è montato una bianca e tutti gli fanno le congratulazioni, ed un altro giro di “dammi un cinque fratello“. Sinceramente non vedo gran soluzioni per questo problema: si potrebbe eliminare il negro subito dopo l’amplesso, o sterminare la sua tribù d’origine, ma sicuramente qualcuno protesterebbe. Per cui, che vogliamo farci, cèst la vie.

In America i porno dove dei negri si scopano delle bianche sono un genere a parte, che si chiama, appunto, interracial, e sono considerati un’eccentricità per raffinati pervertiti.

cinesiIersera sono andato al ristorante cinese, a comprare qualche vaschetta di mangime di bambù; era tardi, era vuoto e c’erano solo i gestori e la figlia che guardava dei telefilms assurdi per teen-agers, che in cinese chissà come si dice. E insomma sono lì appoggiato al bancone ad aspettare e a guardare nel vuoto, che comincio a farmi domande su ‘sti cinesi, soprattutto sul loro linguaggio che qualcuno non esita a definire “una vera e propria lingua“. Essi usano un sacco di ideogrammi, di pittogrammi, parologrammi, mischiano tutto insieme e poi giocano ad indovinare ciò che hanno detto. Se nessuno capisce, ridono, se qualcuno fa il furbo e finge di aver capito, lo massacrano di legnate. Secondo alcuni esiste anche il “mandarino” cinese, che sarebbe tipo parlare con la evve al posto della erre, un po’ come faceva l’avvocato Giovanni Agnelli grande patron dello sport torinese e nazionale, decesso ma ancora nel cuore di molti perché un giorno disse che Del Pievo bisognava chiamarlo Pintuvicchio. Siccome in cinese non esiste le erre, quelli che parlano in modalità “mandarino” non si notano e si confondono tranquillamente con gli altri, ma ti fanno scherzi tremendi alle spalle quando meno te l’aspetti.

Insomma, ero lì appoggiato al bancone che riflettevo su questi temi importanti, ma non capivo proprio cosa si dicevano il marito cinese alla moglie cinese. Ideogrammi in libera uscita, praticamente. Io allora ho memorizzato un po’ i suoni che emettevano più di frequente, anche qualche frase intera; poi a casa, ho dato ai cani le nuvole di granchio e ho provato a tradurre, con l’aiuto di Wikipedia e di altri siti più tecnici, quello che ricordavo di quanto avevo sentito.

Per i cinesi le “relazioni sociali” sono molto più facili, in quanto nessuno sta a sindacare se quando uno parla, dice cose sensate oppure no. Infatti negli elenchi telefonici cinesi ci si trova di tutto, ma in non ordine alfabetico, bensì sparso. Un’accozzaglia di robe, che le più carine le scrivono in grassetto. Tanto gli elenchi del telefono non li legge nessuno, perché è risaputo che i cinesi non telefonano mai, vengono chiamati loro e devono solo dire “Plonto?“, e poi strizzare un po’ di più gli occhietti. Nessuno ha mai realmente aperto un elenco del telefono cinese, credo.

Tornando a iersera: neanche su internet ho trovato risposte convincenti, per cui ho applicato alla mia manciata di ideogrammi le regole de “Il bersaglio” della Settimana Enigmistica, e ho ricostruito la seguente frase: “Dice Ciccio il Cafone che se non gli mandi il carico entro domani le tue budella concimeranno distese di loto nella rugiada di primavera“. Quella delle distese di loto deve piacere particolarmente ai cinesi, perché ce la mettono un po’ dappertutto.

cyborg[Negli anni ’90 io avevo già avvertito perfettamente il pericolo della crescita direi esponenziale ma anche economica di questo popolo, ma la mia era una voce isolata, inascoltata dai governi ed ignorata dai popoli. Per questo, per cercare di dare più forza al mio movimento, mi ero alleato un giorno con la mia amica Roberta di Vicenza, che aveva due belle tette pendule e personalmente combatteva i cyborgs, o qualcosa del genere. Poco dopo ci perdemmo di vista, la nostra lotta perse slancio ed io a partire dal 2003 mi sono messo il cuore in pace ed assisto senza batter ciglio all’avanzata degli involtini primavera. Spero che la mia amica Roberta abbia avuto più fortuna, sennò tra un po’ magari veniamo conquistati anche dai cyborgs. Che, ora che ci penso, non so neanche come si fa a riconoscerli e se hanno un loro linguaggio specifico e quale sia.]

muro di berlinoCi sono due tipi di muri. In primo luogo ci sono i muri tirati su per dividere la gente, i popoli, le persone. Questi sono muri oltremodo antipatici, tutti li biasimano, perché portano ad un sacco di complicazioni: impediscono, o rendono difficile, il passaggio di persone animali cose che devono andare da una parte a quell’altra. In molti casi hanno diviso famiglie che prima stavano tranquillamente qua e là e quando avevano voglia di vedersi si riunivano da qualche parte e portavano regali, anche e soprattutto per i più piccini; poi all’improvviso costruiscono un muro, e quelli che stanno da una parte, da quella devono restare, e chi dall’altra, idem. Che magari uno nel momento in cui hanno fatto il muro si trovava dalla parte sbagliata rispetto alla propria residenza abituale, e questi sono quelli che ci rimangono più di merda. O anche quelli che hanno (avevano) la fidanzata da una parte dove ad un certo punto non possono più andare. Questi muri, l’abbiamo già detto, sono in genere biasimati da tutti, anche da quelli che magari proprio in quel momento ne stanno tirando su uno ancora più grosso e più alto. Un esempio classico di questo tipo di muro è stato per anni il cosiddetto Muro di Berlino, e ciò dava una particolare importanza al fatto di essere di Berlino Est o di Berlino Ovest, molto maggiore per esempio della differenza tra Grosseto Est e Grosseto Ovest, che al limite sono distinzioni comode per le uscite dell’autostrada, ma poco più. Questo Muro di Berlino poi, circa 20 anni fa, è stato smontato da una folla di bighellonatori professionisti, permettendo finalmente a gente che non si abbracciava da anni, di tornare a farlo; anche se nel frattempo magari avevano cambiato fidanzata e a questo punto non gliene importava più tanto. Questo fatto del Muro di Berlino e della sua caduta (ché la chiamano caduta, ma non è mica vero, perché l’hanno proprio buttato giù apposta, prima un po’ alla volta e poi adirittura con i bulldozer), questo fatto dicevo deve essere rimasto profondamente impresso nell’immaginario della gente, perché ancora oggi quando cade l’anniversario della “caduta”, si riunisce un sacco di gente anche importante, sparano i fuochi artificiali e vendono un sacco di souvenirs.

Un altro tipo di muro, molto diverso dal precedente, ed in genere stimato da molti, è quello fatto per potervisi appoggiare, o per appoggiarvi o appendervi qualcosa. La prima categoria ad essere riconoscente a questo tipo di muro è indubbiamente quella degli ubriaconi: essi, per certi motivi loro, sono spesso instabili e apprezzano un sostegno, anche in calcestruzzo, al loro corpo malandato. Un’altra categoria di sostenitori è formata da quelli che quando vanno alle feste si annoiano e non parlano con nessuno: se non potessero appoggiarsi al muro starebbero tutto il tempo in mezzo alle palle, tra la gente che magari vuole ballare, verrebbero urtati più volte finché qualcuno direbbe: “Ma, insomma, cosa vuole questo qua? Se non si diverte, perché non va via?“. Se invece l’annoiato si appoggia al muro ci sono meno problemi; se si dispone di un muro abbastanza lungo ci si possono appoggiare anche diversi annoiati. E se poi l’annoiato è anche ubriaco, ecco vedete che i benefici si sommano. Tutti possiamo immaginare, con un po’ di fantasia, gli altri innumerevoli vantaggi di questo tipo di muro, per cui non la stiamo tanto a menare e vi invitiamo solamente a riflettere su come la realtà cambi a seconda di come la si guardi.

Chi ha parenti antipatici e sgradevoli dall’altra parte della città può sempre sperare che da un giorno all’altro gli tirino su un bel muro tipo Berlino, così te li levi dalle palle e stai anche contento perché tanto non è mica colpa tua se non vi vedete spesso.

omino ubriaco

scherzano

si scherzano

L’aveva detto, Ruphus, su questo blog e su Politiculo: si parlava di una possibile tresca tra Michelle Obama e Bruce Springsteen, e della possibile reazione del di lei consorte; scrissimo: “[…] sicuramente Obama non se la prenderebbe, non avrebbe scatti d’ira inconsulti. Parlerebbe con tutti, manderebbe altri soldati in Afghanistan, farebbe fare la pace tra Israele e quegli altri, insomma si attiverebbe un casino per la pace nel mondo […]“.

Orbene, sul fatto di mandare altri soldati in Afghanistan, mi pare che ne siano in partenza un 30.000, morituro più, morituro meno. Sul fatto di non prendersela, una notiziola in Italia praticamente censurata, ma apparsa in bella evidenza per esempio sulla stampa spagnola. Risulta dunque che Obama è andato al Kennedy Center, a premiare di persona degli artisti, tra cui Robert “You talkin’ to me?” De Niro e qualche altra vecchia scoreggia. Tra i premiati, c’era anche, guarda la casualità, Bruce Springsteen. Ecco; Obama poteva dargli la sua medaglia, stringergli la mano, e via, subito a Washington a governare. Invece no; lui c’ha tenuto a far vedere che non è incazzato; ha persino scherzato con il vecchio rocker, dicendogli: “I’m the President, but you’re the Boss!“. Ha ha ha, ha ha ha, gli ha fatto una battuta, niente di speciale, è vero, ma l’ha detta solo sdrammatizzare un po’, come piace fare a lui. Signori, che stile.

Tra i premiati c’era anche una vecchia cicciona, cantante lirica o roba del genere. I giornali non lo riportano, ma sono sicuro che Obama ha avuto delle parole di incoraggiamento anche per ‘sta qua. “Su con la vita” le avrà detto, o qualcosa del genere, perché lui è fatto così.

Da quando vivo in Spagna, ho notato che a molti spagnoli piace iniziare una conversazione con un italiano con una domanda del genere: “Secondo te, quali sono le principali differenze tra noi spagnoli e voi italiani?“. Spesso il soggetto domandante è una ragazza carina, status sociale e culturale medio-alto, spesso di Madrid, orientamento progressista, alto livello di auto-consapevolezza e coscienza critica. Inizialmente provavo a sfangarla con i peggio stereotipi su cottura spaghetti al dente, cinema italiano vs. cinema spagnolo, tendenze socio-culturali, Berlusconi vs. Zapatero, e bla bla bla. Ho provato anche con cose tipo “beh, a noi italiani piace ogni tanto vincere un mondiale di calcio, agli spagnoli mica tanto“, ironia spesso sprecata. In genere, qualunque fosse la mia risposta, soprattutto se il domandante appartenteneva alla macro-categoria sopra descritta, e che potremmo anche definire come “fighette progressiste“, immediatamente la conversazione finiva per buttare su maschilismo, femminismo e ulteriore bla bla bla, su cui non voglio ora polemizzare, ma che mi annoia moltissimo.

Adesso, a fronte della solita domanda, rispondo immancabilmente: “La differenza più grande che ho notato tra spagnoli e italiani è che i primi si chiedono spesso quale sia la differenza principale tra spagnoli e italiani, e i secondi di solito se ne fregano“. Risposta che serve in nove casi su dieci a troncare la neonata conversazione e che ha ridotto drasticamente il numero di amici e/o amiche che posso contare nella categoria “fighette progressiste”. Ma così è la vita, ed è inutile farne un dramma.

Gengis Khan

Gengis Khan: dio era circa così

Io sono convintamente ateo da quando avevo circa 6 anni. Prima, non è che potessi definirmi credente, perché non ci pensavo molto alla questione; direi agnostico, se non fosse un po’ esagerato per un trappolo dell’asilo. Ma magari un po’ ci credevo, d’altronde credevo anche in Babbo Natale e santa Lucia, e in santa Apollonia, che nel mio paese aveva sub-appaltato dal topolino l’incarico di raccogliere dentini distribuendo monetine. Avevo un libro di racconti illustrato, e c’era la storia della lamapada di Aladino, e c’era la figura del genio che esce dalla lampada: una specie di Gengis Khan, pettinato come un eunuco, con un gran vestaglione rosa. Ecco, per me quella era l’immagine di dio. Aprivo il mio libro, indicavo il figuro e dicevo: “Questo è dio!”. Per me, per i pochi anni in cui ho avuto un’immagine di dio, dio non aveva la lunga barba bianca, ma un enorme vestaglione rosa.

Io, che da piccolo fossi un bimbo sveglio, lo so preché me lo diceva sempre la mia mamma. Ma la mia mamma doveva esserne convinta solo fino ad un certo punto, perché nascondeva i regali di natale, e quelli di santa Lucia, sempre nello stesso posto, l’armadio grande della sua stanza, posto che un bambino sveglio di sei anni si suppone che abbia perlustrato più e più volte. Per cui, anche per via di mia sorella più piccola che aveva tutto il diritto di credere ancora un po’ nella magia del natale, per qualche anno ancora ho finto di credere e meravigliarmi di tutto l’ambaradam che i miei montavano. A dire la verità mi sembra che alla fine gliel’ho detta io, a mia sorella, la verità del mondo. Molto più difficile risultò poi convincere i genitori, ma ce la feci, credo poco prima di prendere la patente.

Il mondo è tondoEd insomma, per me che ero e mi sentivo un tipo sveglio, l’ho già detto, fu come fare due più due: non esiste Babbo Natale? Bene, meglio, il mondo appare più logico. Ma allora nemmeno santa Apollonia, e nemmeno il coniglietto pasquale che nascondeva le uova di cioccolata in giardino, avevano più diritto di cittadinanza nella mia piccola Weltanschauung. E nemmeno quell’altro tipo invisibile che dovevamo pregare all’asilo, dalle suore, che diceva di essere morto e risorto. Via, eliminato. Applicazione precoce del mio personale rasoio di Occam. In nome del quale avrei messo nel sacco delle fandonie pure la storia che il mondo è rotondo, in quanto in contrasto con la mia esperienza del medesimo. Ma la presenza costante di un mappamondo di quelli che si illuminano nella mia cameretta alla fine mi convinse che sì, il mondo è rotondo, gli Stati Uniti sono gialli, l’Australia verde, e l’Africa ha la forma di un faccione negro con uno strano cappello floscio da fuochista. E dio indossa un grande vestaglione rosa.

[riflessioni che hanno preso spunto da questo post]

Kill Everybody Now

Allora. L’umore è quello che è, mezzo incazzato, neanche tanto, ma devo uscire. Mi piacerebbe mettere una maglietta che rifletta il mio stato d’animo, un po’ aggressiva, tanto per. Magari avessi ancora quella dei NoMeansNo con scritto “Kill Everyone Now” (vedi foto), ma quella me l’ha fatta sparire la mamma secoli fa. Per cui niente. E invece ecco, improvvisa, mentre rovisto nel mucchio, salta fuori quest’altra, dimenticata da tempo, una delle mie preferite di sempre: vi si vedono le sagome estremamente stilizzate di un omino e di una donnina; l’omino ha i pantaloni alle caviglie, la donnina è inginocchiata davanti a lui, con la testa al livello della cintura, sembra che glielo stia ciucciando; sotto, una scritta che dice “Servizio in piedi“; dietro, sulla spalla, c’è scritto in piccolo “Surf in Paradise“. Oddio, l’intento provocatorio di questa maglietta è piuttosto loffio, non si scandalizzerebbe nemmeno mia nonna. Ma tant’è, sono contento di questo ritrovamento, mi infilo la maglietta ed esco. Che tra una cosa e l’altra mi è anche migliorato l’umore, per cui fischiettando mi reco al bar Kalimba de Luna del mio amico Frans.

servizio in piediAl bar Kalimba de Luna del mio amico Frans c’è un tavolo con amici e amici di amici, per cui mi ci siedo anch’io. C’è anche una, che mi presentano per cognome, diciamo Angeletti (non è il cognome vero, ma ho imprato che la gente si adira quando la metti con nome e cognome nei blogz). Angeletti, dopo un po’ di conversazione, accenna alla mia maglietta. “Bella, vero?” le dico, tutto contento che l’abbia notata. Dice di sì, non troppo convinta, e mi chiede tipo dove l’ho trovata. “Ah, ma questa me l’ha portata uno da Madonna di Campiglio, le stampavano credo a Parma. Roba da snowboarders, dietro c’è scritto anche Surf in Paradise“. E poi aggiungo, premuroso: “Ma è roba di più di dieci anni fa, penso che ora sia introvabile“. Noto che stranamente non se ne dispiace troppo. E poi dice: “Lo sai che qui in Spagna dicono che noi italiani siamo un sacco maschilisti?“. Io, ingenuo, cieco, non vedendo ancora dove va a parare questa, scoppio in una grossa risata: “Sì sì, è vero, me lo dicono sempre anche a me! Ha ha ha, ‘sti spagnoli!” e giù a ridere. Angeletti non ride e ripete che secondo gli spagnoli gli italiani sono maschilisti; e aggiunge “Non credo che la tua maglietta ci faccia una buona pubblicità“.  […continua…]


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obama

Hanno assegnato il Premio Nobel per la pace a Barack Hussein Obama.

Di questo fatto dovremmo rallegrarci tutti, sostenitori della pace e della guerra, sostenitori dell’America e dell’Unione Sovietica, sostenitori delle razze camitiche e ultrà della razza ariana. Perché un Nobel per la pace è un Nobel fatto apposta per mettere tutti d’accordo, per stare, appunto, in pace con noi stessi come con i nostri nemici. Non esiste il Nobel per la guerra, anche questo andrebbe sottolineato, e non esiste il Nobel per la matematica; i matematici hanno istituito la medaglia Fields, ma vuoi mettere, conosci una ragazza e per impressionarla, per farti bello, le dici: “Sai, ho vinto la medaglia Fields!“, lei sicuramente pensa a una corsa campestre; non è lo stesso che poterle dire: “Sai, ho vinto l’Oscar per i migliori costumi originali!“. Di certo uno come Obama, reduce dalla figura da farlocco che gli hanno servito negando le Olimpiadi alla sua città di origine, non poteva accontentarsi della medaglia Fields. Obama è il quarto presidente americano a ricevere questo prestigioso riconoscimento, ma dobbiamo ricordare che l’Italia vanta ben sei Nobel per la letteratura. Modestamente. Il bello di un Nobel per la pace è che non si discute, non è che può venire un Bin Laden, un Putin, un Berlinghieri a dire “No, non va bene“.

Tra l’altro questo premio simbolico di circa un milione di €uros si adatta perfettamente al carattere pacioso e ai modi urbani di questo personaggio, tutt’altro che permaloso. Ricordiamoci di quando Brulesconi disse di lui: “È abbronzato“. Era una battuta, ovviamente, ma è venuto giù il mondo: tutti lì a dire che queste cose non si dicono, non son modi, ecc. E invece lui, l’Obama, non ha detto niente, ha sorriso e ha fatto finta di trovare spiritosa la battuta. Dopo ha anche invitato il nostro presidente a prendere un caffè alla Casa Bianca.

Il Nobel per la matematica, secondo alcuni, non viene assegnato perché la moglie di Alfred Nobel, quello che ci ha messo i soldi all’inizio, aveva una tresca con un matematico olandese. Secondo altri Alfred Nobel non era neppure sposato, e non sono mai esistiti matematici in Olanda. In fondo sarebbe come se Michelle, la moglie di Obama cantata anche dai Beatles, avesse una tresca con Bruce Sprinsteen. Non sarebbe carino, non avrebbe senso, ma sicuramente Obama non se la prenderebbe, non avrebbe scatti d’ira inconsulti. Parlerebbe con tutti, manderebbe altri soldati in Afghanistan, farebbe fare la pace tra Israele e quegli altri, insomma si attiverebbe un casino per la pace nel mondo, tanto che toccherebbe ridargli il premio anche l’anno prossimo, e non sono sicuro che il regolamento lo permetta. Anche se lo permettesse non sarebbe carino, come quando hanno detto a Lucio Battisti che non lo facevano più partecipare al Festivalbar perché tanto vinceva sempre lui. Tutto questo, per dire.

c'è del tenero?
c’è del tenero?

videocracyStasera mi sono visto Videocracy, di Erik Gandini. Ciò mi ha permesso in primo luogo di accostare delle facce a dei nomi che avevo scorso un paio di anni fa su repubblica.it, all’epoca di vallettopoli. Non vivendo in Italia e non avendo televisione, e fregandomene di tutte queste cose, di vallettopoli e dei personaggi coinvolti non avevo capito una minchia. Per cui stasera ho scoperto che: 1) Lele Mora è un signore oscenamente brutto, che ricorda un po’ troppo il cattivo diabolico di Lost Highway, e che probabilmente pippa più borotalco che cocaina; borotalco finissimo, leggerissimo e profumatissimo – 2) Fabrizio Corona è uno che spacca davvero, uno che va al massimo; ma lo fa per soldi, fa una fatica bestia, e non ride mai, peccato per lui – 3) l’Italia di oggi si può permettere ricchi ed aspiranti ricchi strepitosamente di merda – 4) sto proprio bene dove sto.

<B>Mystery Man</B> di <I>Lost Highway</I> vs. <B>Lele Mora</B>

Mystery Man di Lost Highway vs. Lele Mora

Però a me il fatto che questo Erik Gandini, svedese, venga a fare il brillante e a sindacare quello che succede in Italia, e a farci i film sopra, non è che mi sembra proprio bello. Sicuramente anche in Svezia avranno qualche magagna di cui parlare, no? Vogliamo parlare dei diritti del popolo Sami? [vedi qui] Vogliamo dirlo che in Svezia il rischio di una donna di morire per complicazioni della gravidanza o del parto è di un caso ogni 17.400? [vedi qui] Vogliamo parlare del fatto che in Svezia è vietato licenziare un prete anche se questo ha un’amante sposata? [qui] Ma lo sapevate che degli animalisti hanno fatto scudo con i loro corpi agli alci della riserva reale, e hanno impedito al re Carlo Gustavo di Svezia e ai suoi ospiti di proseguire la tradizionale battuta di caccia in una zona montagnosa nella Svezia centrale? [qui per approfondire] Così, tanto per dire…