banane


Renato Zero nel 1968A volte, quando uno ti dice che secondo molta gente lui assomiglia a Renato Zero, e poi aggiunge anche di non condividere questa opinione (“Secondo me non ci assomiglio proprio a Renato Zero“, dice), e tu gli dai ragione, e gli dici che effettivamente è molto difficile trovargli una qualche somiglianza con Renato Zero, ecco che spesso dopo due minuti è proprio lui quello che cerca di convincerti che dopo tutto, almeno un po’, lui davvero assomiglia a Renato Zero, anzi sono quasi identici, e se alla fine non gli dai ragione ci rimane un po’ male.

Poi tanto si scopre comunque che quello lì che voleva somigliare a Renato Zero tutti lo chiamano Tokio di soprannome, e la cosa finisce un po’ lì.

d'annunzioOvviamente, da che mondo è mondo e da che pane è pane, la gente comune ha avuto l’usanza di piazzare del cibo (carne, formaggi, verdure, insaccati, spezie) tra due fette di pane e di mangiarselo cosí, con le mani. La gente comune, appunto. La nobiltà invece, costretta da mille regole d’etichetta, si doveva sedere a tavola per ore, a mangiare, conversare ed improvvisare la guerra o la pace. Quando nel XVIII secolo tal John Montagu, IV conte di Sandwich, ritenne troppo oneroso per la sua persona alzarsi dal tavolo da gioco per approdare a quello imbandito, e si fece preparare un pezzo di carne tra due fette di pane, tutti dissero “Oh!“, lo trovarono una cosa molto particolare e un qualche geniaccio dell’adulazione propose di chiamare l’artefatto “sandwich“, in onore al suo “inventore”. Ovviamente la gente comune aveva dato da tempo un nome a quella strana cosa lì, sicuramente non lo chiamavano “pezzo di cibo tra due fette di pane”; chissà, forse lo chiamavano “piastrone“, o “bitullo“, o “scaccino“, impossibile saperlo. Fatto sta che il nome sandwich si impose, soppiantando ogni precedente dizione e promuovendo un nobile più ludopata che crapulone a fondatore di una nuova linea gastronomica.

Poi, dopo, nel 1925, il grandissimo poeta nazionale Gabriele D’Annunzio inventò la parola “tramezzino“, per sostituire il termine straniero e non gradito al regime (leggermente diverso, secondo Wikipedia, il succedersi dei fatti, ma la sostanza rimane quella).

No, giusto per sapere… ma cos’è che offende, umilia, degrada maggiormente la dignità delle donne? che ne insulta e deride l’intelligenza? a) Cicciolina che lo succhia ad un cavallo, o b) una pagina come questa (trovata per caso nella ricerca di un consiglio utile)? No, perché il primo caso non mi dice assolutamente nulla sulle donne in generale (al massimo sull’amore per gli animali della mai abbastanza rimpianta deputata radicale), mentre nel secondo tutte le donne (e le casalingue in particolare) vengono trattate come una massa di deficienti decerebrate con lo sviluppo intellettuale non superiore a quello di un bambino di tre anni. Poi, può anche essere che mi sfuggano dei particolari…

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PS – Oddio, a leggere i commenti che la pagina ospita sembra proprio che l’autrice abbia colto nel segno sul livello mentale delle sue lettrici. Continuo a pensare che per rispetto verso tutte le donne, certe tertulie sarebbe meglio mantenerle nascoste nell’intimità di un ristretto circolo di comari, e non ostentarle così, coram populo, ad offesa ed insulto di tutto un genere.

Alcuni importanti studi sull’impollinazione sono stati compiuti da Sir John Lubbock, scienziato pupillo di Charles Darwin: per esempio, scoprì tramite lo studio dei fiori di due varietà di Lobelia dalla colorazione rispettivamente rossa e blu, che le api avevano una netta predilezione per i fiori dal colore blu [*]. Riflettici.

[fonte: Wikipedia]

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[*] John Williams Lubbock, Observations on Ants, Bees, and Wasps. IX. Color of Flowers as an Attraction to Bees: Experiments and Considerations thereon, J. Linn. Soc. Lond. (Zool.) 16, pp. 110–112, (1881).

La legge, nella sua solenne equità, proibisce così al ricco come al povero di dormire sotto i ponti, di elemosinare nelle strade e di rubare pane.

[Anatole France, Il giglio rosso, 1894]

Un amico, giocoliere ed incantatore di flauti, si interessa saltuariamente di notizie di cronaca, oltre che di misteri circondanti le antiche civiltà. Ultimamente i fatti che hanno catturato la sua attenzione sono due: la rissa tra vigili urbani e finti gladiatori al Colosseo, e le gesta di quell’Anders Behring Breivik che per certe ragioni sue l’estate scorsa ammazzò un’ottantina di persone tra Oslo e dintorni (isola di Utoya). Di quest’ultimo argomento l’amico sa tutto, e gli piace rievocare accuratamente le fasi salienti della carneficina. Sa mimare il gesto con il quale quello imbracciava il fucile, puntava, ed abbatteva, uno dopo l’altro, dei giovani norvegesi in rapida fuga. Tra incontenibili risate l’amico racconta lo sbarco sull’isola, le prime vittime incredule, le decine di corpi insanguinati sulla spiaggia, il terrore dei giovani braccati. Devo dire che l’amico sa ricreare l’atmosfera, pur con questo tono leggero e certi risolini che in linea di principio si vorrebbero banditi da discorsi del genere; ma il racconto è appassionante e non stanca mai.

Ed ora che quest’uomo particolare è sotto processo nel suo paese, è inevitabile chiedersi se la bilancia della Giustizia, quella che vede su un piatto il dolore di tante persone, non debba avere sull’altro la bonaria allegria che gli stessi avvenimenti suscitano nell’amico, durante lunghi e paciosi pomeriggi pieni di spritz e di chiacchere a vuoto. Possono le lacrime degli uni essere almeno parzialmente asciugate dalla verve umorisitca dell’amico cabarettista, dal senso di placida armonia che egli sa infondere tra i compagni d’aperitivo? Speriamo di sì.

Ad ogni azione corrisponde sempre una reazione contraria e più idiota.

Azione: “La signora [inserire il nome di una signora qualunque] è una [inserire un epiteto qualsiasi]”.

Reazione: “Questa frase è un insulto contro tutte le donne”. Con conseguente richiesta di dimissioni.

cervelloMi sembra proprio che sia arrivato il momento di chiamare il rottamatore.

– Pronto?

– Pronto, ciao Rogelio. Sono Ruphus.

– Ciao Ruphus, come butta?

– Eh, si tira avanti. Una domanda: ma tu rottami solo macchine?

– Che, vuoi scherzare? Macchine, motorini, camioncini, sidecars, tutto. Che c’hai, un elicottero?

– No no, pensavo che magari era ora di rottamare il mio cervello. Me lo ritiri?

– Il tuo cervello? Sei matto? Ma se lo sanno tutti che è da buttare. Che ci faccio io con un cervello da buttare? Manco un paio di neuroni si riesce a recuperarci.

– Che dici, Rogelio? Ma se siamo amici, lo sai che è quasi nuovo, usato pochissimo…

– Guarda, piuttosto che pigliarmi il tuo cervello mi prendo il buco del culo di José il parrucchiere. Che magari lo riciclo come canotto. Ma col tuo cervello, dimmi tu, che ci faccio?

– Rogelio…

– Senti, piuttosto. Sono riuscito a recuperare due carburatori asimmetrici di una Simca del ’74. Che dici, ti interessano?

– Non lo so Rogelio.

– Sono ormai introvabili, lo sai.

– Magari domani passo a vederli.

– Ecco, bravo. A domani.

– Ciao Rogelio.

– Ciao.

scabbiaTre cose a caso che non mi piacciono, non le posso soffrire, mi fanno schifo. Tutt’e tre hanno a che fare con il culo.

1. Le emorroidi (non servono spiegazioni, vero?)

2. Quando nei films porno viene inquadrato il buco del culo degli attori maschi

3. Quando nei films porno viene inquadrato il buco del culo degli attori maschi, e hanno le emorroidi (orrore!)

Cambiando prospettiva, una cosa a caso che non mi piace, non la posso soffrire, mi fa schifo, ma che non c’entra direttamente con il culo è il cosiddetto “profumo” Patchouli, di cui gli hippies, e anche molti non-hippies, adorano inzupparsi. È veramente una cosa nauseabonda, intollerabile. Puah.

Ruphus: Ciao, Ruphus. Tu hai sostenuto che, a parte la cerchia dei tuoi parenti più stretti, l’essere a cui hai voluto più bene in vita tua non appartiene alla razza umana. Lo confermi?

Ruphus: Assolutamente sì.

R.: Non te ne vergogni?

R.: No. Al cuore non si comanda.

R.: …

R.: Vuoi che approfondiamo?

R.: Magari è meglio lasciar perdere…

R.: Come vuoi.

polloChe poi, più o meno, dovrebbe essere il mio più antico ricordo databile con certezza: avevo due anni e tre quarti, stavo delle ore ad aspettare in ospedale perché doveva nascere, o era appena nata, mia sorella. Faceva caldo e mi annoiavo, e mio padre, per distrarmi, mi disse: “Tu aspettami qui, che vado a prendere i bruttimabuoni, torno subito” (spiego per i fuori regione: trattasi di dolcetti alle mandorle). In quella passa mia zia Cicci e, vedendomi lì soletto, chiede di mio padre. “È andato a prendere…“, e subito mi blocco, perché non mi viene la parola bruttimabuoni, sentita per la prima volta pochi minuti prima. “È andato a prendere una cosa da mangiare, ma non mi ricordo come si chiama“, spiego allora tutto preciso. E la zia: “Una cosa da mangiare? il pollo?“. Ricordo perfettamente che la fissai con gli occhi sbarrati, perché non volevo credere a ciò che avevo udito. Il pollo? come il pollo? secondo te posso aver dimenticato come si chiama il pollo? davvero hai potuto pensare una stronzata del genere?

Fu un lampo, che mi cambiò per sempre. Capii in un istante che anche un grande, un adulto, può essere uno stupido. Smisi di credere nei grandi, e a ruota in molte altre cose. Mi feci cinico ed arrogante. Avrei passato il resto della mia vita ad imparare a perdonare gli stupidi, non sempre riuscendoci.

Ed insomma, quel giorno d’estate Ruphus (di anni due e mesi nove) stende al tappeto il resto del mondo, malamente rappresentato dalla vecchia zia. Comprensibile il decollo verticale della sua autostima, ed il gonfiarsi a dismisura del suo ego, pari solo al disprezzo immenso che ha poi sempre provato per chi diceva “perché sì“. O per quegli altri, quelli del “l’ha detto la maestra“, e quelli del “l’ha detto il telegiornale“.

I bruttimabuoni, come succede con molti prodotti tipici (specie alimentari), ciascuno pensa che sono originari della propria terra. In Toscana, dove hanno più d’un problema con la lingua italiana, li chiamano “bruttiboni” e credono che siano originari di Prato.

grassaDa parecchi anni ormai, puntualmente, una o due volte tra ottobre e maggio Ruphus diventa preda per qualche giorno di una tosse particolarmente violenta e fastidiosa. Da parecchi anni ormai, puntualmente, una o due volte tra ottobre e maggio si svolge il seguente siparietto tra Ruphus e il farmacista:

Ruphus: Salve. Ho una tosse molto forte e vorrei qualche cosa per calmarla. Qualcosa di potente, se possibile.

farmacista: Certamente. Si tratta di una tosse grassa o secca?

R.: Mi scusi, non ho capito la domanda. Potrebbe riformularmela in maniera più precisa?

f.: Voglio dire, la sua è una tosse, diciamo così, ecco, molto secca, o non piuttosto una tosse, come dire, magari un po’ più grassa?

R.: Ma, guardi, a me sembra proprio una tosse così, molto forte, tossisco molto. Tossire mi sembra una cosa piuttosto secca in sé, non riesco ad immaginare una tosse grassa. Cosa intende per tosse grassa?

f.: Eh, una tosse insomma, anche con espettorazioni, sa, più… più grassa, ecco. Non secca. Non una tosse così, secca. Grassa.

R.: Mi scusi ancora, non riesco a comprendere i termini della questione. Non avrebbe mica un prodotto più generale, utile sia in caso di tosse grassa che per quella secca?

f.: Certamente, ecco qua. Un cucchiaio, massimo due, ogni otto ore.

Io mi bevo lo sciroppo, dopo qualche giorno la tosse se ne va, e io resto con il grande interrogativo se la mia sia una tosse secca o grassa.

Finché, l’altro giorno, evviva evviva, mi sono svegliato con una bella tosse che non era come quella di sempre. Era grassa. Me la sentivo grassa, era evidentemente grassa, anche con espettorazioni. Ho capito in un istante che la tosse che avevo sempre avuto era una semplice tosse secca. Una tosse da stitici. Da taccagni. Una tosse da morti di fame, da squallide vecchiacce, da poveri curati di campagna; insomma, una miseria di tosse. Questa invece no, questa era una bella tosse ricca, pastosa, avvolgente, da signori, grassissima. Anche le espettorazioni, sissignore, anche quelle di colori forme e consistenze diverse, copiose ed interessanti. Sentendomi una persona nuova sono volato in farmacia e alla fatidica domanda che per anni mi aveva fatto sentire un povero deficiente, ho potuto finalmente rispondere: “Grassa, mi è venuta una tosse bella grassa“. E mi sono dilungato sui particolari: “Soprattutto la mattina, sa? Che poi verso sera la noto che si fa un po’ più secca, solo un pochino però, lei mi capisce, vero? Però si tratta sicuramente di una tosse grassa, anche con espettorazioni“. Ero fiero e raggiante. Né ha intaccato la mia felicità il fatto che il farmacista mi abbia rifilato lo stesso sciroppo dell’anno scorso: “Un cucchiaio, massimo due, ogni otto ore“, mi ha spiegato, senza sembrar condividere il mio entusiasmo. Ho sospettato che la domanda che per anni mi ha angosciato, questo perentorio “Secca o grassa?“, che sembrava essere la chiave per capire e di conseguenza lenire i miei dolori, fosse in realtà solo uno stanco rituale in cui il farmacista stesso era il primo a non credere. Mi ha fatto un po’ pena.

Io adesso sto bevendo il mio sciroppo ogni otto ore, tra qualche giorno la tosse mi abbandonerà, ma io mi sento tanto più ricco, più completo. Non si finisce mai di crescere, non si finisce mai di imparare.

norrieIn Australia il primo essere umano senza genere: è Norrie May-Welby, uno scozzese che da anni vive a Sydney. E’ diventato la prima persona al mondo ad essere riconosciuta “di sesso non specificato” da un governo. Norrie, 48 anni, è nato maschio ma nel 1990 ha cambiato sesso. Una volta emigrato in Australia gli era stato rilasciato un attestato che lo dichiarava di sesso femminile, ma a quel punto  May-Welby “non si sentiva più a suo agio con una identità unicamente femminile”.

[notizia di repubblica.it]

In Svezia il primo essere umano con due generi: è Pedro María Gusmano, un cileno che da anni vive a Malmö. È diventato la prima persona al mondo ad essere riconosciuta “di entrambi i sessi” da un governo. Pedro María, 48 anni, è nata femmina, ma nel 1990 ha cambiato sesso. Una volta emigrata in Svezia gli era stato rilasciato un attestato che lo dichiarava di sesso maschile, ma a quel punto Pedro (o María?) “non si sentiva più a suo agio con una identità unicamente maschile”. Ha più di 5000 amici su Facebook.

A Pioltello (MI) il primo essere umano col genere a giorni alterni: è Salvatore Scoppietta, un calabrese che vive da anni in Lombardia, la prima persona al mondo ad essere riconosciuto dalla Motorizzazione Civile “di sessi alterni”. Salvatore, 48 anni, è nato pastore, ma dal 1990 i giorni pari è femmina, si chiama Daniela, e può circolare con la sua Twingo a targa pari; i giorni dispari è maschio, gira col Fiorino (targa dispari) e organizza manifestazioni contro i froci.

A Bilbao (Spagna) il signor ‘Ngwomi Banesto, un pittore surrealista di 48 anni nato da un mango in Svizzera ma convertitosi nel 1990 al confucianesimo, è stato riconosciuto da Niels Liedholm la prima persona al mondo “a sesso variabile”. È maschio in sala da pranzo, in garage e in cantina; e al cesso. È invece femmina davanti alla TV, in cucina, in soffitta e nel giardino davanti casa. In camera da letto, dipende con chi ci finisce. Si sposerà presto con Renato Zero, una medusa canadese di 48 anni a cui nel 1990 è apparsa una madonna di torrone intagliato e che è stata riconosciuta da un simpatico dittatore centroafricano il primo caso di “sesso a chiazze”: maschio nei gomiti, nel pomo d’Adamo e nella gamba sinistra, femmina nelle braccia, attorno all’ombelico e nelle unghie dei piedi (il buco del culo, come sempre, bisex).

Oreste, un malato mentale di 48 anni dimenticato in un ospedale pischiatrico ufficialmente chiuso, con i giornali, e con le notizie che non sa e non vuole leggere, continua a pulircisi il culo, perché la carta igienica è dal 1990 che non ne portano più. Poi esce nel cortile vuoto, ride forte guardando il sole, e comincia a girare in tondo.

ferro da stiroHanno un loro blog del cazzo, come questo che stai leggendo o anche peggio, in cui dissertano delle proprie emorroidi o delle beghe col vicino; e poi scrivono tutti premurosi e precisini: “Disclaimer: questo blog non è una testata giornalistica, e bla bla bla, non è pertanto soggetto alla legge tale e tal’altra, e bla bla bla, aggiornato senza periodicità, e diritti d’autore, e bla bla bla…” e via stronzate del genere, serissimi. Disclaimer? testata giornalistica? eh?  ma sei sicuro? E quei grafomani logorroici che ci tengono a sottolineare che se vuoi riprodurre i loro chilometrici e vacui contenuti devi chieder permesso e magari puranche pagare! Riprodurre? pagare? eh? c’è mica qualcuno che si sta prendendo un po’ troppo sul serio, magari?

Ho passato il pomeriggio a fotografare una vipera morta. Non sorridono le vipere.

Disclaimer: questo blog non è un vibratore in lattice. Ciò non impedisce che ai sensi di legge te lo puoi comunque infilare dove ti pare.

droga e puttaneLa Spagna, dai tempi del generalissimo Franco, ha fatto passi da gigante. Ma il futuro non è arrivato ovunque con la stessa intensità. Mentre a Madrid si inaugurano grattacieli su grattacieli e i treni ad alta velocità cominciano a sbuffare su e giù per la penisola iberica, nel paesello andaluso che mi ha accolto (San José, Almería) passato e modernità si intrecciano in un pittoresco intarsio di tradizioni tuttora ben radicate e nuove usanze che faticatno ad aprirsi il passo.

Da quando, una ventina d’anni fa, fu installata la prima linea telefonica presso il bar-ristorante El Emigrante, progressi ne sono stati fatti: nel frattempo sono arrivati l’internet, con tutta la sua banda larga; il servizio bagnini in estate; due edicole con riviste nazionali ed internazionali (compresa la Settimana Enigmistica) e le cartine OCB e Smoking; l’illuminazione pubblica anche notturna; autocorriere tutti i giorni da e verso il capoluogo; due banche e tre bancomats; ed un lungo eccetera di ammodernamenti che rendono la vita più comoda ed al passo con i tempi. Da qualche giorno addirittura dicono che sia arrivata l’acqua potabile dai rubinetti, ma comunicazioni dal comune non ne vengono, e l’autobotte continua a riempir taniche tutte le mattine, alle 11 nel posteggio municipale. Sembra Beirut, ma con più allegria.

posteE molto ancora resta da fare: le poste per esempio. La postina non riesce a starci dietro al lavoro, e molla la posta un po’ dove capita. Soprattutto se legge un cognome straniero, sia esso inglese, italiano o russo, abbandona la lettera nel primo posto che le sembra adeguato. La gente s’arrabbia perché non ha ancora capito che le cose funzionano cosí. Io, invece, non mi arrabbio. Un’altra cosa che ancora è lasciata un po’ allo sbando è l’approvigionamento di droghe illegali. D’estate, quando arrivano un sacco di turisti che giustamente hanno voglia di svagarsi, di solito c’è qualche italiano che si improvvisa spacciatore, ma così, in modo amatoriale, senza la professionalità che la situazione richiederebbe. Spesso mancano droghe anche importanti, o quando ci sono la qualità è quella che è. E ancora una volta la gente s’arrabbia. Io no: osservo e ridacchio. Per non parlare della situazione in inverno: lo spaccio al dettaglio rimane appannaggio dei ragazzini, con i risultati che possiamo immaginare. La gente s’arrabbia, protesta, ma sono proteste sterili, non costruttive; nessuno si organizza per mettere in piedi un servizio decente.

E la prostituzione? Qualche anno fa era giunto in paese un signore italiano, con una pancia enorme. Lui aveva i contatti giusti, aveva chi gli portava le ragazze, non so se dall’est o dal Sudamerica, insomma voleva mettere su un bel club (come qui chiamano i bordelli), aveva già trovato il posto. E invece niente, viene la Guardia Civil e gli dice che no, che non si può fare, che questo è un posto turistico. Come se i turisti non andassero a puttane, ma guarda un po’. Adesso questo signore non si sa dove sia finito, sicuramente avrà trovato un posto più accogliente per piantare i propri affari, e qui in paese ci sono solo un paio di marocchine che esercitano; a beneficio solo dei marocchini, credo, perché sono ben brutte e per poco che possano costare, beh…

Un’altra cosa in cui San José è carente è la distribuzione gratuita dei sacchetti per raccogliere le merde dei cani, che in Trentino c’è ormai da molti anni. La gente pesta le cacche, ma non protesta più di tanto perché non sa nemmeno che si tratta di una cosa da arretrati.

pistolaEssendo il mio amico Luca per l’appunto il mio amico Luca, ho fatto uno strappo alla mia regola generale di non accettare inviti a pranzo da gente recentemente riprodottasi. Hanno fatto un figlio e l’hanno chiamato Riccardo. Ne hanno fatto un altro e l’hanno chiamato Vincenzo. “Ah, in onore della nonna” ho pensato. Ma poi mi è venuto in mente che la mamma del Luca si chiama A. più o meno da sempre. Il tarlo continuava a rodermi il cervello, finché un lampo ha illuminato la notte: la mamma del Luca si chiama A., sì, ma Alfonsi di cognome. Chiaro? No? Da Alfonsi ad Alfonsine il passo è breve; Alfonsine, località del ravennate nota per aver dato i natali al poetastro Monti, il “traduttor de’ traduttor d’Omero”. E come si chiamava il Monti di nome? Ma Vincenzo! Olè, applausi! Il cerchio si chiude ed io son contento.

Banane a parte, abbiam chiaccherato di questo e di quello, ed il Luca mi ha spiegato come mai un album così bello come Revolver dei Beatles ha avuto in sorte una copertina così brutta: tutta colpa, pare, di un ubriacone tedesco (di Amburgo). Mi son scordato di chiedergli come mai ad un album così bello avessero dato un titolo così stronzo.

revolver

Il würstel, detto anche salsicciotto, (il termine proviene dal diminutivo della parola tedesca Wurst, “insaccato”, secondo i dialetti tedeschi meridionali, laddove il termine in Hochdeutsch suonerebbe Würstchen) è una specie di insaccato fatta con carni tritate, bovine e suine, tipica della Germania e dell’Austria e, in Italia, dell’Alto Adige.

noia1. Nei bars, enigmatici cartelli invitano a provare il caffé con ginseng. Ce n’era proprio bisogno, no?

2. Avevo dimenticato la potenza devastante del riscaldamento centralizzato nei condomini trentini! Aiuto! Soffoco!

3. A forza di gallerie, le strade trentine sono state completamente rettificate in meno di vent’anni. Non più una curva. A forza di rotonde, le strade trentine si stanno completamente rotondizzando in meno di cinque anni. Non più un pezzo di strada dritta a morire. Autotrasportatori e camperisti ringraziano.

4. Il localino più bello, più allegro, più vivace (e non ci vuole poi molto) che c’è a Trento è sicuramente il Circolo dei Redicoi, Reversi e Policarpi in via S. Martino. Tutti vecchi (a parte i giovani), ma tutti con una gran voglia di festa addosso. C’era il Meo vestito da donna, che fumava di nascosto. Abbiam giuocato alla morra, finalmente, bevendo vino rosso. Se ha un senso per me un’espressione come “tornare a casa”, immagino che sia più o meno questo.

5. Giovani fanciulle vessate da un funzionario astratto cercano tra le lagrime di far entrare il loro bagaglio a mano nel ridicolo parallelepipedo di misurazione. Sono viaggiatrici RyanAir. Il funzionario mi punta, punta il mio zaino oversize, gonfio e sformato. Io sorrido, sventolo il mio biglietto Iberia e tiro dritto. Il funzionario ci rimane male, io godo. Cose belle della vita.

6. È iniziato il Festival di Sanremo, detto anche poeticamente il “festival dei fiori”. L’Italia si occupa del vestito rosso della presentatrice.

7. Negli uffici del Mart (Rovereto) si cazzeggia allegramente e ci si rimpalla l’odiesse di scrivania in scrivania. Poi qualcuno dice “l’ho firmato io“, tutti si tranquillizzano e tornano a cazzeggiare. Ignoro cosa sia l’odiesse, ma deve essere più o meno l’architrave su cui poggia l’intera struttura museale.

calcioCi sono questi che vogliono che parliamo di “calcio”. E allora parliamone. Devo gentilmente premettere che io non ho molta esperienza diretta di tale fenomeno, in quanto ho partecipato in prima persona solamente in una occasione: nelle qualificazioni ai mondiali di Francia ’98, mi fu chiesto di sostituire mi sembra Zambrotta; feci abbastanza bene e favorii pure il gol della vittoria. Ma a parte questo, tutto quello che so sul “calcio” si può sintetizzare in cinque punti:

1) L’attaccante Aldo Serena è nato a Montebelluna (grazie a Xenja Plasma per questa notizia).

2) Agostino Di Bartolomei è stato un potentissimo rigorista della Roma. Finita la carriera, si è suicidato (mediante sparo alla tempia) sul terrazzo della sua villa tra i castelli romani. Vestiva un accappatoio forse di seta.

3) I “calciatori”, quando vanno in ritiro per allenarsi tutti insieme, dipende dall’allenatore se hanno il permesso o meno di avere rapporti sessuali, sia con le loro legittime mogli/fidanzate, sia con professioniste a pagamento.

4) Gli arbitri di Serie A possono anche essere completamente pelati. Vengono considerati i migliori del mondo. La mia prof di lettere al liceo aveva un figlio completamente pelato; noi che eravamo solo dei ragazzi, ridevamo. Adesso sappiamo che ridere delle disgrazie altrui non sta bene.

5) Quando spararono al noto ornitologo Palmiro Togliatti, chiesero per favore a Bartali Gino di vincere una tappa del Tour de France per evitare la rivoluzione. Questo non c’entra direttamente con il “calcio”, ma è un chiaro esempio di come lo sport in generale sia stato utilizzato in passato (oggi non si usa più) per mantenere calme le masse lavoratrici.

Detto questo, che può sembrare anche poco ma non lo è, occorre riconoscere che il mondo del “calcio” è tuttora funestato da episodi molto gravi, primo fra tutti quello dei cosiddetti “cori razzisti”, che non sono ancora stati ben capiti dagli esperti. I “cori razzisti” sono un problema soprattutto perché possono causare la sospensione della partita, o la sconfitta a tavolino. Ma il razzismo è una malattia con radici profonde e non si può pensare di eliminarlo a tavolino, tra un rutto e una manata sul culo della cameriera. Somala. Vanno studiate delle soluzioni, radicali, per esempio si potrebbe fomentare il fenomeno collaterale degli incidenti tra ultras in chiave antirazzista, o delle raccolte di firme tra personaggi dello spettacolo. Inoltre questi “calciatori” pagati come delle autentiche stars, dovrebbero essere un esempio per i giovani e cantare in coro l’inno nazionale antirazzista; invece comprano macchine costosissime e spendono tutto dal parrucchiere. Responsabilità, questa è la parola chiave. Non si può imporre la responsabilità a tavolino, ma non possiamo far finta di niente di fronte al continuo rincarare del gesso che usiamo per segnare le righe del campo. Dove andremo a finire?

negri polaChe poi sarebbe anche ora di chiedersi come mai un popolo che si sceglie serenamente un presidente a tutti gli effetti negro, gli viene male al pensiero di un negro che si chiava una donna bianca. Inutile protestare, inutile girare la testa dall’altra parte: perché, dicano quello che vogliono le associazioni ed anche i singoli SOS-Racism, questo è un fatto, e puoi star sicuro che se Obama avesse avuto una moglie bianca, a tanti di quelli che lo hanno  votato, sentendosi ben moderni, sarebbe girate un po’ troppo le balle. E allora addio primo presidente afroamericano, erede ideale di John Brown, di Martin Luther King e di Eddie Murphy. Addio belle speranze di una nuova epoca e di un mondo migliore.

Da sempre, a quanto pare, questo fatto dell’uomo negro che si scopa una donna bianca, fa perdere il sonno a molti uomini bianchi. Molti trovano una spiegazione a questo fenomeno nel fatto che i negri tradizionalmente ce l’hanno “più grande” dei bianchi, e ciò sarebbe causa, almeno in parte, di certo nervosismo. Io non credo molto a questa teoria, perché non ho mai sentito nessuno dire: “Eh, si, caro geometra, che vuol farci, anche mia moglie tromba con un cinese; ma insomma, alla fin fine loro ce l’hanno talmente piccolo che non mi arrabbio neanche…”. No, non l’ho mai sentito un discorso del genere. E poi, se fosse questione di dimensioni, dovrebbero esserci altrettante reticenze nei confronti delle donne che scopano con i cavalli, ed invece Cicciolina è arrivata in parlamento, prima ed indimenticata rappresentante di una lunga lista di troie che ancora oggi stanno lì, fanno le fighe e se la tirano.

A me personalmente, quello che mi dà un po’ di fastidio nelle relazioni sessuali tra uomini negri e donne bianche è più che altro l’idea che questi negri, dopo, tornano nelle loro tribù e si vantano. Un po’ come quelli di Foggia quando andavano a scopare nell’ex-est-Europa (Polonia, Ungheria, ecc.). Ai negri infatti piace tantissimo bullarsi: uno perché ha guidato un’automobile vera, quell’altro perché c’ha la radio più grande, e così via; poi si danno un cinque. Poi salta fuori quello che dice che si è montato una bianca e tutti gli fanno le congratulazioni, ed un altro giro di “dammi un cinque fratello“. Sinceramente non vedo gran soluzioni per questo problema: si potrebbe eliminare il negro subito dopo l’amplesso, o sterminare la sua tribù d’origine, ma sicuramente qualcuno protesterebbe. Per cui, che vogliamo farci, cèst la vie.

In America i porno dove dei negri si scopano delle bianche sono un genere a parte, che si chiama, appunto, interracial, e sono considerati un’eccentricità per raffinati pervertiti.

Io, quand’ero piccolo, c’erano alcune cose che mi inquietavano profondamente. Una finestra rotonda, attraverso cui non si vedeva niente, posta a meno di un metro d’altezza in un enorme muro rosso di una casa. I cancelli che davano su piccoli cortili vuoti, o su cortili abitati solo da un cane pastore. Una foto di tessuti cancerogeni. La bombatòmica. Scantinati vuoti con i neon e i muri di piastrelli bianche. I ganci da traino per le roulottes con sopra una pallina da tennis. Gli storpi ed i mutilati. La sala raggi dell’ospedale.

Adesso che sono grande, altre angosce, altre inquietudini turbano leggere il mio cuore. Ma ancora oggi, a tanti anni di distanza, la vista di un gancio da traino con sopra una pallina da tennis è capace di riaprire uno spiraglio di quella porticina nascosta che dà sull’ignoto, sull’assurdo, sul non comprensibile. E torno a sentirmi ancora bambino. Fragile di fronte al mondo, incapace di trovarvi una spiegazione.

boia

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La veterinaria mi ha detto che ho il gatto “stressato”.

Pensavo di essere messo male, ma oggi il vicino mi ha confessato che le sue piante crescono “timide ed apprensive”.

Evidentemente viviamo in un quartiere marcato da profondo disagio sociale.

* * *

pirla

dinamoTu non sei depresso“, gli ho detto, “sei solo diversamente allegro“.

E poi gli ho regalato una dinamo di bicicletta, forse funzionante.

Ha sorriso, un po’.